sabato 30 agosto 2025

Cure: "the Head on the Door" (1985)

Quarant'anni fa oggi, Robert Smith e i suoi Cure pubblicavano "the Head on the Door", uno dei loro capolavori indiscussi e forse l'album della svolta definitiva: archiviata la loro fase dark minimalista, i Cure si gettano a capofitto nel rock barocco, portando con sé soprattutto influenze alla Television nelle chitarre e una varietà melodica rara nel post new-wave.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/4893d754)

Momento di importanti cambiamenti per i Cure. Il batterista Boris Williams e il chitarrista Porl Thompson, che avevano entrambi suonato con i Cure a partire dai tour del 1984, entrano come membri effettivi nella band, mentre Simon Gallup, bassista su secondo, terzo e quarto album dei Cure, rientra in formazione. I tre musicisti affiancano i membri fondatori Robert Smith (voce & chitarra) e Lol Tolhurst, passato dalla batteria alle tastiere qualche tempo addietro. Nonostante l'espansione del gruppo, "the Head on the Door" è il primo disco in otto anni di carriera in cui tutte le canzoni vengono composte dal solo Robert Smith, caso unico per la band fino a "Songs of a Lost World" del 2024.

Il disco si apre con il manifesto musicale "Inbetween days", canzone archetipica dei successivi dieci anni di produzioni targate Cure, in particolare per quanto riguarda lo stile chitarristico interpretato da Smith e Thompson e influenzato dai chitarristi di Television e PiL (oltre che dall'esperienza di Smith con Siouxie & the Banshees), che segnerà molti dei singoli di successo del gruppo, da "Just like heaven" (1987) a "Lullaby" (1989) e da "Pictures of you" (1989) a "A Letter to Elise" (1992). La sobria, rarefatta "Kyoto Song" arriva subito dopo a ricordarci che le radici dark e la depressione di Smith & soci non sono certo state lasciate indietro. Analogo messaggio darà più avanti la traccia conclusiva "Sinking".

"Six Different Ways", condotta da un irresistibile ritmo di 6/8, mostra un arrangiamento perfetto in cui un pianoforte concentrato sulle note basse e deliziosi riff di tastiere guidano sinuosamente la voce di Robert Smith a singhiozzare liriche pregne di stupore e mistero, il cui tema vagheggia forse forme di alienazione mentale ('Six sides to every lie I say [...] It was never quite like this before, not one of you is the same'). La luminosa cavalcata di "Push" tocca le corde tra arena rock e new wave che stanno percorrendo U2 e Big Country. "The Blood", fedele all'impostazione eclettica dell'album, segue addirittura un andamento ispirato al flamenco.

Pezzo che ancora passa in radio abbastanza spesso, e del quale però non avremo mai abbastanza, "Close to Me" rappresenta il complementare di "Six different ways", e l'incrocio di tastiere e la batteria quasi dance (coadiuvata dai woodblocks che simulano i battimano) forniscono una orecchiabilità molto maggiore rispetto agli standard passati della band, cementando la fortuna commerciale di singolo e album. Probabilmente il brano più amato è però "A night like this", iconico simbolo della maturità della band, in cui si realizza la mirabile sintesi di Cure vecchi e nuovi che indica la strada che quattro anni più tardi porterà i ragazzi guidati da Robert Smith a incidere un altro capolavoro, "Disintegration".

Un suono più immediato e melodie memorabili non rappresentano però un tradimento nei confronti della propria vicenda artistica: la sperimentazione resta nell'architettura sempre più articolata e complessa degli arrangiamenti - e il tratto che unisce i vecchi Cure e quelli nuovi sono la voce di Robert Smith e la sua passione per i significati obliqui nei testi. Là dove qualcosa si perde uscendo dal deserto emotivo della trilogia dark, si trova comunque una ricerca nelle coloriture sonore che permette di rifuggire dalle banalità promesse dalla luce del sole.

- Prog Fox


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