Il 25 agosto di cinquant'anni fa usciva "Born to Run", terzo album di Bruce Springsteen, disco della sua maturità musicale e della sua consacrazione artistica e commerciale. Avendo assimilato e poi messo da parte le lezioni di Bob Dylan, Band, Neil Young, alla ricerca di un suono autenticamente personale, Bruce e la E-Street Band concepiscono uno dei più influenti album degli anni settanta, cesura fondamentale per tutti i cantautori (rock e non) che verranno dopo di esso.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/bdnx6jpe)
"Born to Run" è il disco con cui nasce il mito di Bruce Springsteen e trova forma compiuta la E-Street Band, con l'arrivo del pianista Roy Bittan a sostituire David Sancious e di Max Weinberg alla batteria; l'ultimo tassello del gruppo, il chitarrista italoamericano Steven Lento Van Zandt entra troppo tardi per suonare la chitarra ma partecipa ai cori e arrangia la corposa sezione fiati che accompagna il sax solista di Clarence Clemons.
Va bene, questi sono dettagli, come il #3 nelle classifiche americane, o i due anni di tour in America ed Europa che fanno esplodere le vendite di dischi e biglietti. Ma la musica? Be', Bruce si fa più populista e sposta il suo folk rock & roll dai temi quasi jazzati del disco precedente ai topoi da arena rock (sebbene in "Meeting across the river" riecheggino ancora suggestioni di "The wild, the innocent and the E-Street Shuffle"), e nel contempo il suo sguardo invece che guardare ai freak e ai reietti del sottobosco suburbano si concentra sul proletariato, sulla gente comune, dando vita a un fin qui inedito blue collar rock di matrice liberalproletaria.
Due sono i brani più rappresentativi della novità di Bruce Springsteen, che si allontana dagli stilemi ereditati dalla Band, da Bob Dylan, da Neil Young, dalle coevi evoluzioni di Tom Waits, per scegliere uno stile più essenziale e uno degli ultimi veramente innovativi della produzione cantautorile americana: il brano eponimo dell'album, "Born to Run", e quello di apertura, "Thunder Road". "Thunder Road" in particolare risulta essere quasi ricetta paradigmatica per le canzoni della fase 'classica' della E-Street Band, con una introduzione pianistica di Roy Bittan prima dell'ingresso collettivo dei musicisti al completo, con una struttura di strofe differenti che si incastonano senza palesemente sfociare in un tipico ritornello, quasi in un flusso di coscienza partorito dalla logorrea incontrollabile di Springsteen, chiuso dal finale con immancabile sax di Clemons. La title track invece si lancia sull'innodico, sull'intersezione fra epos ed elegia, fra nostalgia e teen angst che caratterizza un uomo di venticinque anni, non più ragazzo ma non ancora adulto, sospeso fra due mondi, fra speranza per il futuro e paura di avere già lasciato il meglio dietro di sé.
Anche il brano conclusivo dell'LP, l'epica ballata "Jungleland", avrà una influenza enorme sulla nuova generazione di compositori di rock classico di fine '70/inizio '80 - dal Mark Knopfler di "Telegraph Road" e "Romeo and Juliet" (Dire Straits) al Jim Steinman di "Bat out of hell" (Meat Loaf) e "Total eclipse of the heart" (Bonnie Tyler). "Jungleland" racconta in termini di tragedia classica la vita di un ribelle urbano sullo sfondo degli scontri fra gang rivali e con la polizia. Interessante anche il confronto del brano con il modo in cui il tema fu affrontato due anni prima dai Genesis di Gabriel con "The Battle of Epping Forest". "Jungleland" è epos populista springsteeniano al suo vertice assoluto, dalla introduzione piano-violino all'assolo esplosivo del Boss che apre la parte più ritmata del brano, prima che il sax di Clarence Clemons guidi la lunga sezione ballad-romantica che sfocia poi nel finale drammatico.
Se "Bon to Run" comunque è un disco così sensazionale, il merito è anche dei brani che potremmo definire altri, quelli minori o meno importanti. Premesso che la coesione del suono della E Street Band riesce a fornire un'eccezionale coerenza sonora al disco, tale da rendere l'album davvero maggiore della somma delle sue parti, come dovrebbe essere per qualunque LP compiutamente realizzato, Springsteen tenta con essi approcci necessari a diversificare il suono del disco: troviamo così il brillante R&B bianco di "Tenth Avenue Freeze Out", ispirato dalla scrittura e dagli arrangiamenti di Wilson Pickett, Steve Cropper e Otis Redding; la pensosa "Backstreets" segue in forma più meditabonda la struttura anticipata da "Thunder Road", con risultati eccezionali soprattutto nell'emotiva coda; la già citata "Meeting across the river" rappresenta invece il perfetto trait-d'union più evidente fra i primi due album di Springsteen e "Born to Run".
In conclusione, "Born to Run" è uno dei più influenti album degli anni settanta e rappresenterà una cesura fondamentale per tutti i cantautori che verranno dopo di esso. Non penso ci sia altro da aggiungere.
- Prog Fox
#brucespringsteen (voce, chitarre acustiche &
elettriche; armonica)
#estreetband:
#roybittan (pianoforte, piano elettrico, organo, clavicembalo, glockenspiel & voce)
#clarenceclemons (sax, tamburello & voce)
#dannyfederici (organo, glockenspiel)
#garrywtallent (basso elettrico)
#maxweinberg (batteria)
ospiti:
#sukilahav (violino)
#davidsancious (pianoforte & organo)
#ernestcarter (batteria)
#stevenvanzandt (voce; arrangiamenti dei fiati)
#wayneandre (trombone)
#michaelbracker (sax tenore)
#randybrecker (tromba & flicorno)
#davidsanborn (sax baritono)
#richarddavis (contrabbasso)
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