Vent'anni fa oggi usciva "Come on! Feel the Illinoise!", quinto album del cantautore americano Sufjan Stevens e secondo album del 'progetto' (poi dichiarato uno 'scherzo') di realizzare un album per ognuno dei cinquanta stati americani (il primo disco era stato dedicato al Michigan). Infinitamente lungo, ed è un peccato, perché c'è veramente tanto materiale di valore, improntato a un rock melodico - non di rado delizioso - influenzato da progressive, country, americana e pop sinfonico.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/yewdeh6r)
Nel 2003 Sufjan Stevens pubblica "Greetings from Michigan, the Great Lake State", suo terzo lavoro, un bellissimo disco dedicato al suo stato natale (la cui città più importante è Detroit). Due anni dopo, Stevens decide di trarre ancora ispirazione da uno stato americano rivolgendosi al vicino Illinois (per intendersi, lo stato di Chicago). Stevens arriva addirittura a dichiarare che intende realizzare un album per ognuno degli Stati Uniti d'America, anche se in seguito ritratterà quanto detto etichettandolo come uno scherzo o una battuta. Peccato, perché il tema degli Stati sembra davvero ispirarlo, con "Illinoise" e "Michigan" che risulteranno tra le migliori opere della sua carriera, all'insegna di un rock melodico - non di rado delizioso - influenzato da progressive, country, americana e pop sinfonico.
Il disco si apre con una introduzione in due parti, la delicata ballata pianistica di "Concerning the UFO sighting near Highland, Illinois", decorata dai flauti, e "The Black Hawk War", che porta nel disco le voci delle sue collaboratrici Katrina Kerns e Shara Worden, la tromba di Craig Montoro e la batteria di James McAlister, presentando così il gruppo base dei suoi musicisti di accompagnamento.
La prima canzone vera e propria è così la terza traccia, ovvero la title track "Come on! Feel the Illinoise!", perfetto manifesto di tutto il lavoro: la voce di Stevens, pacata, sorniona e sognante, danza su un frenetico percussionismo, accompagnato dalla tromba e dalle seconde voci femminili, in un brano variegato che mostra la straordinaria forza melodica del cantautore-polistrumentista. Allo stesso tempo, il brano tradisce già il principale difetto del disco, ovvero l'eccessiva prolissità di un autore che non sa mai quando deve fermare un capitolo per passare a quello successivo. Sulla stessa falsariga troviamo alcuni dei migliori pezzi dell'album, come "Chicago" (anch'essa un filo troppo lunga) e "The Predatory Wasp of the Palisades Is Out to Get Us!". Quando la ripetitività e la lunghezza si fanno interminabili ("Casimir Pulaski's Day"), riuscire a sentirsi oltre un'ora di album appare una prospettiva poco allettante.
C'è molto altro in "Come on! feel the Illinoise", dato che il disco si sviluppa attraverso ben ventuno tracce, di cui solo sette sono brevi scherzi di durata inferiore al minuto, mentre gli altri sono canzoni vere e proprie, articolate e sviluppate, che vanno dai due ai sette minuti di lunghezza, tali da riempire l'intera durata di un CD standard (73 minuti); in effetti, c'è forse troppo altro, come già detto sopra.
Di buono troviamo, oltre alle canzoni già menzionate, soprattutto la tremenda dolcezza di "John Wayne Gacy Jr.", dedicata a uno dei più efferati serial killer della storia americana, e di "The Seer's Tower", che confermano la capacità di Stevens di toccare corde di una profonda malinconia e delicatezza; o la brillante "The Man of Metropolis steals our hearts", che alterna nello stesso brano le due tendenze principali delle canzoni, dosando con sagacia una sezione per chitarra acustica e tromba e una violenta per chitarra elettrica e batteria, adornata dall'Illinoisemaker Choir (un coro che appare in cinque brani dell'album in sostituzione o in appoggio alle due sopracitate ragazze).
Tra i migliori album della torrenziale produzione di Sufjan Stevens, il disco non sfugge ai difetti del nostro eroe, ma essendo piuttosto presto nella sua carriera risulta ancora fresco e stimolante, caratteristico di quel misto di malinconia e luminosità della produzione indipendente degli anni zero che anticipa l'hipsterismo di lì a poco a venire (a cavallo del 2010) e, tutto sommato, lo rende anche un po' inutile e corrivo. Un album meritevole di attenzione e di un po' di amore. Ma non troppo.
- Prog Fox
Sufjan Stevens, voce, chitarre acustiche & elettriche, basso elettrico, pianoforte, piano elettrico, organo, sax contralto, oboe, flauto traverso, flauti dolci, banjo, glockenspiel, fisarmonica, vibrafono, percussioni
James McAlister, batteria
Craig Montoro, tromba (#2,3,5,9,10,11,12,15,20,21) & voce (#16)
Katrina Kerns, voce (#2,3,5,13,15,19,20)
Shara Worden, voce (#2,3,4,10,13,15,19,20)
The Illinoisemaker Choir (Tom Eaton, Jennifer Hoover, Katrina Kerns, Beccy Lock, Tara McDonnell), voci (#2, 9, 12, 16, 20)
The String Quartet (Julianne Carney, violino; Marla Hansen, viola; Maria Bella Jeffers, violoncello; Rob Moose, violino) (#3, 5, 6, 9, 16, 20)
Matt Morgan, voce (#7)
Daniel Smith, voce (#7)
Elin Smith, voce (#7)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO: # -- A -- B -- C -- D -- E -- F -- G -- H -- I -- J -- K -- L -- M -- N -- ...
-
Nell'ottobre di quarant'anni fa viene pubblicato "Robinson - come salvarsi la vita", nono album del cantautore milanese ...
-
Usciva il 23 maggio di venti anni fa "Demon Days", secondo album dei Gorillaz, progetto musicale guidato da Damon Albarn, meglio n...
Nessun commento:
Posta un commento