Usciva quarant'anni fa oggi "Misplaced Childhood", terzo album dei Marillion e disco simbolo di tutto il movimento neoprog britannico degli anni ottanta. Si tratta di poco meno di un capolavoro, capace di ripercorrere con successo i fasti di Genesis e Camel tenendo loro testa con coraggio, grazie alle doti dei musicisti e alle liriche del cantante Fish, che trasforma le musiche dei suoi compagni nell'equivalente musicale di un romanzo di formazione in cui il protagonista adulto ripercorre le tappe della sua adolescenza e giovinezza nel tentativo di ritrovare i sogni di un tempo. Il disco, sorprendentemente, raggiunge il primo posto delle classifiche britanniche.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/3b6bx89r)
Dopo due album buoni ma interlocutori, che li vedono abili imitatori dei Genesis capaci di introdurre letture originali grazie alla tecnica chitarristica di Steve Rothery e alla fascinazione per l'oscurità di Mark Kelly, tastierista degno di suonare l'organo per i Van der Graaf Generator, il gruppo trova una sua stabilità affiancando a Rothery, Kelly, al creativo bassista Pete Trewavas e al cantante Fish, imitatore di Peter Gabriel dalle ambizioni da autore di rock opera, il batterista Ian Mosley, veterano che ha almeno un lustro più degli altri e che ha all'attivo collaborazioni con Darryl Way, con i Trace e con Steve Hackett (che tutti gli appassionati di progressive conoscono come il chitarrista storico dei Genesis).
"Misplaced Childhood" nasce così come rock opera autobiografica dell'egocentrico e geniale Fish, che piega le elaborate architetture sonore dei suoi quattro compagni alla sua logorrea e alle sue acrobazie verbali, ripetendo in modo quasi freudiano le dinamiche relazionali del complesso-genitore, quelle fra Peter Gabriel e i Genesis all'epoca di "the Lamb lies down on Broadway". I risultati non sono meno riusciti, e allo stesso modo non mancheranno di generare tensioni appena mascherate dal grande successo commerciale.
L'intero lato A è un'opera magistrale di venti minuti senza soluzione di continuità, in cui i brani si susseguono l'uno all'altro in modo perfetto, cosicché l'ascoltatore viene quasi ipnoticamente forzato ad ascoltarlo tutto consecutivamente. Il momento più noto è "Kayleigh", divenuto singolo di lancio dell'album il cui ritornello sarà in parte ripreso dagli ammiratori Dream Theater per quello di "Another Day" (da "Images and Words", 1991), ma probabilmente quello migliore è il climax pazzesco del disco, ovvero l'innodica, epica elegia alle notti alcoliche dell'adolescenza di "Heart of Lothian", con le chitarre lancinanti di Rothery e i fill superbi alla batteria di Mosley. Nulla può descrivere accuratamente la pelle d'oca che l'amante del neoprog prova alla sequenza rappresentata da "Pseudo Silk Kimono", "Kayleigh", "Lavender", "Bitter Suite" e "Heart of Lothian".
Perché allora "Misplaced Childhood" sarebbe poco meno che un capolavoro, quindi? Beh, perché a parere del vostro umile recensore, il lato B non riesce a tenere il passo del lato A, riprendendone alcuni temi musicali ("Childhoods End", "White Feather") senza però riuscire a riprodurne il senso di grandiosità e freschezza. Non che sia una brutta facciata, ma semplicemente non è all'altezza della prima.
Quali che siano i suoi difetti, "Misplaced Childhood" resta il disco più importante (e il lato A resta la facciata di album migliore) di tutto il neoprog britannico degli anni ottanta. Se dovete scegliere un unico disco da ascoltare del genere, non ci sono dubbi sul fatto che questo sia quello da portare sull'isola deserta. Se invece siete appassionati del progressive, magari ne preferite altri. Ma non è così probabile.
- Prog Fox
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