domenica 8 giugno 2025

Bob Dylan: "Empire Burlesque" (1985)

Usciva l'8 giugno di quarant'anni fa "Empire Burlesque", album del cantautore americano Bob Dylan che - non per la prima volta - confuse molto i suoi fan, questa volta per l'uso di suoni anni ottanta e moderni e di coriste pop. L'album raggiunge il n°33 in classifica in America e il n°11 nel Regno Unito, e vede la partecipazione di numerosi ospiti, fra cui gli Heartbreakers di Tom Petty, Sly & Robbie, e Ron Wood dei Rolling Stones.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/muda7jkx)

Nel luglio del 1984, Bob Dylan inizia a lavorare al suo nuovo album, pasticciando un po' con qualche traccia. Ritornerà al lavoro verso la fine dell'anno, dopo avere deciso di incidere un po' come capita con la gente che capita, per poi dare tutto il materiale al tecnico del missaggio Arthur Baker e chiedergli di assemblarlo. Le scelte di Dylan vanno dall'uso della sezione ritmica giamaicana di Sly & Robbie a quella di coinvolgere vecchi amici e colleghi come Mick Taylor (ex-Stones) e Ron Wood (il suo sostituto negli Stones) e buona parte degli Heartbrekers di Tom Petty. Il suono è anni ottanta, ma ottenuto quasi per caso, per inerzia, per disinteresse. Ciò comunque basta a fare impazzire i fan più tradizionalisti (come se Dylan non avesse cambiato suono tipo dodicimila volta in carriera, almeno fino a un certo punto).

È chiaro che l'apertura di "Tight connection to my heart" con le coriste soul deve essere stato uno shock per i suoi ascoltatori, ma non appena Bob inizia a blaterare le sue liriche con la sua inconfondibile enunciazione (Well, I had to move fast and I couldn't with you around my neck; I said I'd send for you and I did, what did you expect?) è chiaro che tutto rimane ampiamente all'interno dei territori che Dylan conosce e i suoi fan si aspettano. Il che non è necessariamente un male, anzi.

Come spesso avviene anche nei migliori album del nostro eroe di Duluth, Minnesota, la discontinuità è d'obbligo sia nello stile delle canzoni che nella loro riuscita: "I'll remember you", che sembra quasi una canzone d'amore del tardo Van Morrison, può essere una ballata emozionante o noiosa a seconda di dove si trovi la vostra resonanza emotiva con Dylan; "Clean Cut Kid" è uno dei seimila blues rock di plastica incisi negli anni ottanta, e poco conta che il testo sia considerato dalla critica uno dei più forti sulla guerra in Vietnam; "Never Gonna Be the Same Again" è un buon midtempo struggente; "Emotionally Yours" ha anche momenti emozionanti ma qualcosa non convince, e non sono gli arrangiamenti eighties il problema, anzi, Mike Campbell, membro degli Heartbreakers di Tom Petty, la colora deliziosamente con la sua chitarra; "When the Night Comes Falling from the Sky" ha lasciato perplessi chiunque ed è stata chiamata una traccia di 'disco Dylan'; l'ironica, sorniona "Something's Burning, Baby" sembra ispirata dallo Springsteen di "Born in the U.S.A.", reinterpretato alla maniera del menestrello di Duluth; la pensosa "Dark Eyes" chiude il disco con classe e un tono elegiaco, reso ancora più dolente dalla presenza dell'armonica di Dylan.

Nel compesso cosa si può dire di questo disco? è brutto? No, certo che no. È un capolavoro? Ma neanche per sogno. È un disco medio di un artista un tempo geniale, con pregi e difetti ormai noti, i cui aspetti tecnocratici sono stati esagerati perché critica e pubblico sono sempre confusi quando parlano dei dinosauri. Evidentemente, il Bob Dylan quarantaquattrenne non era ancora un semidio incriticabile come purtroppo è oggi; la sua voce sgraziata ma personale si lasciava ancora ascoltare; e tutto sommato così si può dire del disco. Irrilevante, forse, tolto il brano di apertura, ma certamente non dannoso e nemmeno offensivo. Si ascolta, e non è mica un crimine, soprattutto quando avete già dietro le spalle oltre venti album.

- Prog Fox


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