Usciva il 13 marzo di cinquant'anni fa "Young Americans", album di David Bowie. Si tratta del primo album 'americano' di Bowie, nato dal suo rinnovato interesse per il soul e il funk, che lo porta a reclutare, tra gli altri, il chitarrista portoricano Carlos Alomar. È il disco che vede il ritorno in cabina di regia dell'amico Tony Visconti, ed è anche l'album in cui Bowie collabora con John Lennon per due brani, una cover di "Across the Universe" e l'inedito "Fame", suo primo #1 in classifica negli Stati Uniti.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/3dzzbv9x
"Young Americans", il nono album di David Bowie, arrivò sugli scaffali nel marzo di 50 anni fa, marcando il primo passo di allontanamento del fu Ziggy Stardust dal Glam Rock, il genere che lo portó alla ribalta. Il disco rappresenta il culmine della breve parentesi "plastic soul", durata in realtá meno di un triennio, breve intermezzo verso la fase dello Smilzo Duca Bianco, la piú creativa e sperimentale della carriera del nostro. Volutamente molto orecchiabile, gradevole pur senza avere molta sostanza, "Young Americans" è anche un antipasto degli ammiccamenti mainstream degli anni '80 di Bowie, da "Let's Dance" in avanti.
La fase glam di Bowie fu un coeso, lungo flirt con temi e toni apocalittici, e "Diamond Dogs" rappresentò certamente il culmine della parabola epitomizzata da Ziggy Stardust, con i suoi riferimenti orwelliani e la sua atmosfera da cinque a mezzanotte. Sulle divagazioni soul/funk in esso contenute (la splendida "Rock'n'Roll With Me" e l'epica "1984") Bowie costruirá il primo dei suoi proverbiali "changes", inaugurando il passo successivo della carriera del caro David, quello che lo porta a "Young Americans", uscito il 13 marzo 1975. L'idea di muovere verso la direzione della black music nasce dal tour americano di "Diamond Dogs", quando Bowie incontra Carlos Alomar, all'epoca turnista all'Apollo Theatre (dove aveva lavorato a uno dei dischi preferiti del futuro Duca Bianco, "James Brown Live at the Apollo") e assembla attorno a lui una band tutta americana e in larga parte nera. Sotto la mai abbastanza celebrata guida di Tony Visconti, il complesso si dedica a settimane di sessioni di registrazioni che frutteranno sei delle otto tracce poi confluite nell'album (oltre a una grande quantitá di outtake).
Non si può negare la bellezza di alcune delle tracce contenute in "Young Americans": la traccia eponima, posta in apertura, è gustosa e gradevole. "Fascination", nata da un'idea del turnista Luther Vandross, arriva persino a scaldare un motore funk altrimenti sopito. Sul lato B del disco troviamo poi i sei minuti di "Somebody up There Likes Me", di cui chi scrive immagina con doppia nostalgia una versione "punk" realizzata dai Morphine, e l'altra ballad "Can You hear Me", certamente la piú riuscita dei lenti. Anche quando le cose vanno bene, però, si percepisce forte il bisogno di maggiore sostanza sostanza: i lenti "Win" e "Right", in particolare, soffrono di una certa artificiosità, nonostante "Win" abbia idee interessanti sia sul versante sonoro, che su quello melodico. L'incontro con il funk e il soul, generi (specialmente all'epoca) costruiti sull'istinto e sull'"orecchio" dei loro interpreti, vocali e strumentali, non un'amalgama del tutto soddisfacente con il songwriting intellettuale, per certi versi freddo, di Bowie. Ne emerge una strana chimera che, non a caso, verrà etichettata dallo stesso autore come "Plastic Soul", imitazione non-viva di un genere che invece fa di una sensuale vitalitá la propria ragion d'essere.
A completare la scaletta del lato B ci sono una cover sotto anabolizzanti di "Across the Universe" (superiore all'anemica originale, secondo il parere di chi scrive) e "Fame", entrambe nate da una collaborazione con John Lennon, e registrate a New York senza Tony Visconti (che lamenterà l'esclusione dalla scaletta finale di altri due brani, sui cui arrangiamenti orchestrali spese molto tempo). Il white funk elettrico e acidulo di "Fame" é di gran lunga il pezzo migliore dell'album, e non a caso è l'estratto di "Young Americans" piú comunemente trovato in raccolte, best of e compilation varie.
Deliziosamente artefatto, "Young Americans" prende la seduzione del funk e del soul che spopolavano all'epoca della sua uscita, e li usa per colorare le matite delle canzoni di Bowie. Le suggestioni funk verrano integrate in maniera ben piú organica nel seguente "Station to Station", dove peró sarano innestate sulle manie del neonato Duca Bianco, a quel punto davvero incarnato (con tanto di spirale di follia e leggende di esorcismi) e pronto ad affrontare lo tsunami punk per poi surfare sulla Nuova Onda. Fore la recensione tiepida vi fa pensare che il disco non contenga molto di salvabile, ma si tratterebbe di un'impressione sbagliata: "Young Americans" fu solo una breve fermata nel tragitto del fu Ziggy Stardust, ma rimane un prodotto della fase migliore della sua carriera.
- Spartaco Ughi
#davidbowie (voce, chitarre & tastiere)
#carlosalomar (chitarre)
#mikegarson (pianoforte & clavinet)
#davidsanborn (sax)
#willieweeks (basso elettrico)
#andynewmark (batteria)
#earlslick (chitarre)
ospiti:
#larrywashington (percussioni)
#avacherry (voce)
#robinclark (voce)
#luthervandross (voce)
#anthonyhinton (voce)
#dianesumler (voce)
#pablorosario (percussioni)
#johnlennon (voce & chitarre)
#emirksasan (basso elettrico)
#dennisdavis (batteria)
#ralphmacdonald (percussioni)
#jeanfineberg (voce)
#jeanmillington (voce)
produzione:
#tonyvisconti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO: # -- A -- B -- C -- D -- E -- F -- G -- H -- I -- J -- K -- L -- M -- N -- ...
-
Nell'ottobre di quarant'anni fa viene pubblicato "Robinson - come salvarsi la vita", nono album del cantautore milanese ...
-
Usciva il 23 maggio di venti anni fa "Demon Days", secondo album dei Gorillaz, progetto musicale guidato da Damon Albarn, meglio n...
Nessun commento:
Posta un commento