lunedì 23 dicembre 2024

Lucio Battisti: "Anima Latina" (1974)

Usciva 50 anni fa Anima Latina, capolavoro del duo Battisti-Mogol e disco tra i dischi piú belli ed influenti del novecento italiano. Caratterizzato da contaminazioni sudamericane e un ambizioso concept prog-psichedelico, quest'album rappresenta l'inizio delle sperimentazioni di Battisti con nuovi suoni e nuove forme nelle sue composizioni: un esempio di art-pop che esercita ancora oggi un'influenza fortissima sugli autori italiani "alternativi".



(disco completo qui: https://tinyurl.com/4wwuf9nc)

"Anima Latina" è il primo disco sperimentale di Battisti nello stesso senso in cui "Atom Heart Mother" è il primo disco prog dei Pink Floyd: vero formalmente, ma le etichette inamidano i concetti in una rigidità che fa a pugni con l'eterea fluidità che questi richiedono, spesso rappresentata da uno spettro ampio tra "normale" e "sperimentale", o tra "prog" e qualunque sia il suo opposto. Specialmente partendo dai canoni iper-standardizzati della moderna musica da classifica, un disco come "Amore e non Amore", tanto per fare un esempio, ha le sue belle bizzarrie, tra brani strumentali e il suo vagolare tra generi differenti. Quando si parla di "esperimenti", nel caso di "Anima Latina" ci si riferisce, da un lato, ai suoni: il contemporaneo incorporamento di sintetizzatori e percussioni sudamericane, i fiati, il mixing vocale spesso alieno e distante; dall'altro, e soprattutto, alla struttura dei brani, spesso dilatata, estesa oltre l'assodato "strofa ponte ritornello assolo" e il rassicurante minutaggio di 3 minuti e mezzo. Già questa la si può definire una rivoluzione per un musicista come Battisti, che aveva fatto della canzone leggera, dei jukebox, il suo territorio di caccia, anche al netto della sua attitudine scostante e della sua insofferenza per i paragoni con quella scena.

Raggiunta una certa consapevolezza dei propri mezzi (e, probabilmente, la stabilità economica per poterselo permettere), il duo Battisti/Mogol si concede un salto nell'ignoto: un disco che si rifaccia all'art rock, che nel '74 ha pienamente raggiunto la propria fase imperiale. Ispirati dal prog "leggero" (inteso come meno strumentalmente complesso) dei Pink Floyd, ma anche dal primo Battiato e dal prog italiano propriamente detto, i due (coadiuvati da una eccellente band di una dozzina di elementi di spicco della scena italiana) producono otto tracce più una serie di piccoli intermezzi, che spaziano dal proto post-rock dell'opening "Abbracciala Abbracciali Abbracciati", che starebbe comodo in "Spirits of Eden" dei Talk Talk, a canzoni che, oblique e sarcastiche ma ornate da suoni e arrangiamenti di chirurgica precisione, fanno pensare al Brian Eno coevo, stiamo pensando a "Il Salame" e "Anonimo"; nel mezzo, troviamo il pastiche psych-samba della traccia eponima, una cavalcata epica come "Due Mondi" e il folk psichedelico de "Gli Uomini Celesti", lo strumentale Zappa-esco de "La Nuova America". Soprattutto, troviamo all'apice del climax narrativo, sul lato B, "Macchina del Tempo", in cui i pezzi del concept album si incastrano e l'immensa ambizione filosofico-esistenzialista viene rivelata: la macchina del tempo è la carne umana stessa, che viaggia per i decenni tenuta insieme dalla coscienza che accumula ricordi, impressioni, emozioni, sentimenti, gioie e traumi. La cornice del concept, accennato e sottinteso più che esposto a chiare lettere, permette di fare ampio uso di anticipazione e richiamo, a significare i salti temporali della mente: la melodia di "Anima Latina" compare sia in "Anonimo" (che contiene anche, accelerato, il tema di "I Giardini di Marzo"), che in "Macchina del Tempo" (e quest'ultima nasconde anche citazioni da "Abbracciala..." e "Due Mondi"), per tacere delle reprise di "Uomini Celesti" e "Due Mondi". Come ultimo corollario, il tema della percezione del tempo porta anche l'album ad arrotolarsi e chiudersi su sé stesso come un nastro di Mobius, con parti del breve epilogo "Separazione Naturale" che vengono sussurrate nell'intro di "Abbracciala...", il cui incipit vocale, peraltro, implica che ci troviamo in media res: "Cosa ti dicevo? A che punto ero?" I Pink Floyd faranno lo stesso, in "The Wall", qualche tempo dopo.

Cinquant'anni dopo il fatto, con fiumi di inchiostro scritti in Italia e, recentemente, anche all'estero, non possiamo esimerci dal ribadire con intensa enfasi, battendo veementemente i pugni sul tavolo, la classe, la qualità superiore di "Anima Latina", disco che siede di diritto nell'olimpo della musica pop (in senso ampio) italiana e tra i tesori nascosti dell'intero ventesimo secolo europeo, visionario e chiaroveggente come solo i capolavori pionieristici possono essere. Il lettore che ha fruito di questa recensione, immaginiamo fluente nella lingua di Dante, può godersi "Anima Latina" senza filtri o barriere culturali e la domanda sorge spontanea: perché non lo sta facendo, hic et nunc?

- Spartaco Ughi

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