Esce il 4 dicembre del 1964 "Beatles for Sale".
(disco completo: https://tinyurl.com/mvem26x6)
In vendita come quattro pezzi di carne, eccoli i Beatles! Il titolo non poteva essere più efficace di così. Guardateli ora, i nostri ragazzi, in una copertina che li vede ritratti in un panorama autunnale: guardano in camera stanchi morti, sfiancati, scarichi, con gli occhi traboccanti di melanconia beat… oppure è consapevolezza di essere entrati in un mondo nuovo, uno spazio liminale, verso nuove sonorità e testi? Beh, è evidente che siano provati per le fatiche di questo 1964 campale, tra tour e promozioni, per battere il ferro finché è caldo. Sto parlando con te, Mr. Epstein!
“Beatles for sale” rimane uno spazio bianco tra le loro diverse produzioni, un momento particolare, ma comunque molto sentito dai Nostri. Forse latitano cuore e spirito nelle sue brevi 14 tracce, nessuna che superi i 3 minuti, ingozzato (di nuovo!) con una marea di cover, per allungare il brodo e renderlo ancora appetibile per le masse. Ma parliamo dei Beatles, dannazione, che bisogno c’era di buttare lì un medley piacione come “Kansas City/Hey-Hey-Hey-Hey!” oppure l’ennesima traccia da balera come “Everybody's Trying to Be My Baby”? Forse siamo poco generosi, ma le cose vanno viste in prospettiva. Perché da una parte abbiamo la colonna sonora de “A Hard Day's Night”, album originale, brioso e godibilissimo, mentre nel prossimo futuro (agosto ’65) troviamo “Help!”, indiscutibilmente uno dei vertici nella produzione dei Beatles. Insomma, siamo di fronte ad un riempitivo targato Epstein-Martin, o forse qualcosa di più?
Lo confesso, la presentazione è stata poco generosa fino a qui, e tenterò pertanto di fare ammenda.
“Beatles for sale” è un album di transizione per diversi motivi: generato dalle esperienze americani dei Nostri, quindi è un album per loro stessa confessione “country & western” (“I Don't Want to Spoil the Party” e tutte le cover, per esempio); le canzoni di John e Paul sono scritte dai due quasi in solitaria, considerati gli impegni del gruppo e quelli sentimentali con le rispettive fidanzate dell’epoca; si sente l’influsso di Bob Dylan in più di un brano (il più esplicito “I'm a Loser” di John), non solo stilisticamente ma “Galeotto” nei loro primi flirt con la cannabis.
C’è indubbiamente del buono in questo album composto in tutta fretta, tra le pause del tour americano – terminato a fine settembre 1964 –, con promozioni, ospitate in tv, concerti e la sacrosanta voglia di vivere come ragazzi di 20 anni, il che significa ragazze, feste e casini vari. In questo ferro battuto che è l’industria discografica, nei sistemi di produzione musicale targati Epstein, succede il miracolo: i Nostri non si bruciano con le scintille, non vanno in crisi, non si separano e non perdono il loro spirito delle origini.
“Beatles for sale” poteva essere uno splendido disastro dopo due anni di certificata Beatlesmania, e diventare il canto del cigno di una band sfruttata fino al midollo, in cui un John o un Paul avrebbe potuto incrociare le braccia e dire “Ora basta!”. Ma la giovane età unita al genio indiscusso, insieme alla voglia matta di scrivere, suonare e continuare a farlo ad ogni condizione, hanno fornito il collante essenziale per trasformare la passione grezza in un business multimiliardario: per questo l’album rappresenta il paycheck fondamentale di tale percorso, che oltre alla meravigliosa parabola artistica ha gettato le basi per la moderna exploitation delle bande emergenti.
Il sistema americano collaudato (album – tour – promozione – ripeti), che ha in Elvis il suo esempio più illustre (fino alle tragiche conseguenze), con “Beatles for sale” inserisce un tassello nuovo. Nonostante la fretta e lo stile in parte raffazzonato, l’album trascende il semplice schema dei fenomeni da baraccone portati in giro dal circo, ma conferisce alla band la capacità creativa di evolvere costantemente in testi e musica, insieme alla società che li circonda, rendendo i Beatles avanguardia di quei meravigliosi anni ‘60.
- Agent Smith
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