Esce cinquant'anni fa oggi "The Lamb Lies Down on Broadway", album dei Genesis e ultimo con leader e cantante Peter Gabriel. L'inquieto musicista lascerà il gruppo dopo il tour dell'album, nel 1975, per riunirsi ai vecchi compagni in una unica occasione (il concerto a Milton Keynes dell'ottobre 1982). Il disco, un doppio concept album, divide la critica: c'è chi lo considera il culmine della parabola dei Genesis e chi lo considera un esempio perfetto degli eccessi del progressive rock. In un modo o nell'altro, per Gabriel questo lavoro esauriva la fase più progressive della sua carriera: i suoi orizzonti lo porteranno a una carriera da figura di culto di notevole successo.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/mu6xzx43)
Il progressive rock britannico - e, di conseguenza, quelli francese, tedesco e italiano - non si rimpicciolì al punto quasi di sparire da un giorno all'altro, ma lo fece, se ci permettete la battuta, progressivamente. In parte mutò e sopravvisse anche con notevoli riscontri commerciali, ma in gran parte l'enorme sottobosco di gruppi che avevano riempito sale concerti delle università e piccoli teatri scomparvero nel periodo che andò dal 1972 al 1976, quando emerse una nuova cultura giovanile, quella punk, e quando gli studenti d'arte, invece che coltivare sogni fantasy, hippie o escapisti, da ars gratia artis, divennero rivoluzionari violenti, dandy decadenti e duri perennemente imbufaliti col mondo. Non a caso i fratelli maggiori a cui guardare in questa fase saranno i Jim Morrison, i Lou Reed, i David Bowie - non gli Ian Anderson e i Jon Anderson, con i loro flauti traversi e le loro immagini folk o mistiche.
Gruppi di primo piano del prog come Jethro Tull e Yes sopravviveranno, nonostante tutto. Ma nel novembre del 1974 i King Crimson si sono già sciolti, i Pink Floyd hanno già pubblicato "The Dark Side of the Moon" reinventandosi per una nuova era di pop tecnocratico imitata da tutti i gruppi minori che vorranno sopravvivere (Camel, Eloy, Supertramp, ma anche i nascituri Alan Parsons Project) e dai kraut rocker che vogliono trasformare le loro odissee cosmiche in viaggi fantascientifici (Kraftwerk, Tangerine Dream), Emerson Lake and Palmer stanno per entrare in crisi, e i Genesis stanno per perdere la loro figura di riferimento carismatica, Peter Gabriel. Le prospettive di ingresso nel 1975, per un amante del progressive europeo, sono assai grame, e poco conforto viene dal crescente successo che stanno avendo oltreoceano nuovi gruppi di prog muscolare e bombastico come i Kansas, i Rush e gli Styx.
"The Lamb Lies Down on Broadway" è l'ultimo disco della formazione storica dei Genesis: Peter Gabriel lascerà il complesso nel 1975, al termine del tour mondiale del disco, abbandonando al loro destino i membri fondatori e compagni di scuola Tony Banks (tastiere) e Mike Rutherford (basso) e i 'nuovi arrivati' Steve Hackett e Phil Collins (giunti tre anni prima per incidere l'album "Nursery Cryme"). Ma non è vero che Gabriel lascerà i Genesis perché stanco del progressive rock; dopotutto, i suoi dischi successivi fino al 1980 verranno composti sempre all'interno di quella chiave, pur con crescenti dosi di cantautorato pop (le influenze etniche ed elettroniche arriveranno dopo). Lo lascia perché con l'aumentare del successo del gruppo, la percezione dei fan è sempre più che i Genesis siano la formazione di accompagnamento di Gabriel, mattatore che cambia personaggi e costumi da canzone a canzone e unico estroverso a fianco di un gruppo di timidi studenti di college; ma poiché il gruppo in realtà è democratico e lavora per compromessi, Gabriel sente di non vuole più lavorare sullo stesso piano degli altri, e gli altri non vogliono accettare che Gabriel sia su un piano superiore al loro - ed è proprio il fatto che i Genesis non siano la sua formazione di accompagnamento che lo porta alla necessità di fuoriuscire.
Fin qui, si è parlato solo di storia, e poco di musica. Il prog è in crisi, Peter Gabriel ha bisogno di muoversi senza essere in alcun modo contraddetto e ostacolato, e l'operazione colossale che è "The Lamb Lies Down on Broadway" porta la sua strada a separarsi per sempre da quella dei compagni. Il disco allora? è il capolavoro definitivo del progressive classico oppure è l'ennesima dimostrazione dei livelli di presunzione e pretenziosità a cui sono arrivati i dinosauri del prog? Dinosauri che, peraltro, avevano tra i 23 e i 24 anni all'epoca del disco.
L'album è un po' entrambe le cose. Il doppio album è semplicemente troppo lungo e la storia raccontata da Gabriel, sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie in cui il Bianconiglio è il fratello del protagonista e Alice è un ragazzo portoricano di nome Rael (anagramma di Real e abbreviazione di Gabriel), non è abbastanza narrativa da reggere quattro facciate. Resta comunque affascinante come idea e come realizzazione, pur tra eccessi giovanili e prolissità, tra logorrea tanto verbosa quanto musicale.
Descrivere ogni singolo brano sarebbe sicuramente eccessivo, ma vale intanto la pena citare come lo stile del disco rammenti quello del predecessore "Selling England by the Pound", pure se con tonalità meno luminose e assai più cupe rispetto ad esso, e che l'album si caratterizza anche per una certa espansione caotica della tavolozza timbrica sfruttata dai cinque musicisti.
Molti sono i momenti di livello: sicuramente il brano eponimo che introduce il disco è semplicemente stupendo, con un coro indimenticabile e coinvolgente e una strofa caratterizzata da una avvolgente figura di basso e batteria; mentre "Carpet Crawlers" è giustamente una delle canzoni più famose del gruppo: ritmo suadente, ondeggiante, con un crescendo della voce di Gabriel punteggiato da una lenta ascesa della chitarra sottilissima di Hackett e da un espandersi epico della sezione ritmica, illuminato da un ritornello, introdotto dal fantastico ponte 'the carpet crawlers keep on crawling...', che recita lo straordinario 'you gotta get in to get out' corale degli striscianti figuri mitologici che mano a mano riempiono tutto lo spazio immaginifico della canzone (salamandre, velli d'oro, manichini, superuomini, vergini sagge e sciocche...).
Per il resto, la quantità di materiale è tale che ogni ascoltatore attento potrà trovare i suoi momenti preferiti (il vostro umile recensore adora "In the cage", in particolare l'assolo di tastiera di Banks; la ritmica ossessiva di "Back in NYC" con la rabbiosa prestazione vocale di Gabriel; l'elegia di "The Lamia", che ritorna per certi versi alle atmosfere di "Trespass" e "Nursery Cryme", con una lancinante chitarra di Hackett; la strizzata d'occhio sorniona di "The Colony of Slippermen" e la sua fase centrale strumentale condotta selvaggiamente da Collins e Rutherford), ma a dirla tutta anche quelli meno.
Culmine e apoteosi della fase Gabriel della carriera dei Genesis, il disco è un significativo spartiacque nella storia del progressive rock, e uno dei più chiari esempi di percezione della fine di un'era musicale, con il prog in decadenza e il punk a una mano di carte dall'arrivare; un giudizio postero certamente influenzato dall'abbandono di Gabriel, ma che fornisce in realtà una chiave di lettura mirabile del doppio album tutto, non togliendo ma in realtà aggiungendo senso e ineluttabilità alla sua creazione.
- Prog Fox
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