venerdì 6 settembre 2024

Hawkwind: "Hall of the Mountain Grill" (1974)

Usciva oggi cinquant'anni fa "Hall of the Mountain Grill", quinto album degli space/prog rocker britannici Hawkwind e decisamente uno dei dischi migliori del gruppo, efficace punto di incontro fra i suoi esordi più psichedelici e sperimentali e gli esiti più melodici e post-pinkfloydiani.



(disco completo qui --> https://tinyurl.com/39azppmj)

Il biennio 1973-1974 è un momento spartiacque per il progressive rock. Se in Nordamerica il genere è appena agli esordi con Kansas, Rush e Styx, in Europa esso sta volgendo a un inesorabile tramonto, travolto da un lato dal successo di "Dark Side of the Moon" dei Pink Floyd, che genera una serie di gruppi e dischi ispirati a quel tipo di sonorità, di produzione, di tematiche (Alan Parsons, sto guardando te!), e dall'esaurimento del motore classicheggiante e romanticheggiante che ne aveva promosso l'evoluzione oltre il blues rock e la psichedelia che lo avevano originato. In questo quadro, i gruppi maggiori e minori del genere avevano tre strade: imitare i Pink Floyd, perseverare satanicamente oppure trovare una propria strada. Diversi gruppi provarono due o anche tutte e tre queste soluzioni: fra loro sicuramente troviamo gli Hawkwind. Il successo fra i giovani comunque sarebbe progressivamente (sic!) svanito con il rapido incedere del punk e della new wave tra 1975 e 1976.

Per il loro nuovo lavoro, "Hall of the Mountain Grill", gli Hawkwind, eroi dell'underground londinese, drogati psichedelici e alcolizzati promiscui, per la prima volta abbandonano decisamente il caos cosmico del loro space rock all'inglese, molto più grezzo e sanguigno sia di quello tedesco sia di quello dei Pink Floyd, scegliendo una produzione meno pastosa e timbri più nitidi, probabilmente nel tentativo di emulare un poco i sopracitati Pink Floyd di "Dark Side".

Sebbene questa nuova direzione porterà a due dischi molto più puliti e pinkfloydiani (nonché meno riusciti) come "Warrior on the Edge of Time" (1975) e "Amazing Music Astounding Sounds" (1976), il quinto album degli Hawkwind beneficia di questo nuovo equilibrio fra energia graffiante e nitore melodico, e risulta uno dei migliori della formazione, a partire da "The Psychedelic Warlords", uno dei tanti autoritratti in musica della formazione e uno dei vertici più alti di tutta la loro produzione, dalla interpretazione vocale di Brock all'esuberanza del basso di Lemmy (proprio il futuro Motorhead), dalle rullate esaltanti di Simon King al sax smarrito e azathotiano di Nik Turner.

Il senso del progetto sembra quello rappresentato dalla magnifica copertina di Barney Bubbles, usuale collaboratore del gruppo: una nave spaziale ammarrata su un pianeta alieno, dall'atmosfera tanto limpida e glaciale quanto minacciosa come l'elegiaca e dolente "Wind of Change", che prosegue il disco su un'altra nota altissima, dove protagonista è il violino del nuovo entrato Simon House, che sostituisce il manipolatore elettronico Dik Mik. House segnerà in quegli anni il suono degli Hawkwind affiancando l'altro strumentista anomalo, il sassofonista e flautista Nik Turner, che firma il terzo brano superbo su tre, "D-Rider", caratterizzato da una introduzione sublime e dal suo cantato stupefatto ed estraniato.

"Web Weaver", che chiude il lato A, si attesta su un livello un poco più basso e interlocutorio, mentre i temi atmosferici della title track firmata da House e di "Goat Willow", l'interludio tastieristico di Del Dettmar (che uscì dal gruppo dopo le registrazioni dell'album), riportano con la mente alla stupenda desolazione della copertina. Il gruppo invece non sembra capace di rendere giustizia al potenziale di "Lost Johnny", scritta da Lemmy, preconizzando l'esigenza del bassista di cercare nuovi compagni con cui scendere dalle stelle e attraversare il fango dei campi di battaglia e la polvere della strada.

"You'd better believe it", in apertura di lato B, è il pezzo che maggiormente si riallaccia ai grandi classici degli anni precedenti come "Masters of the Universe" e "Silver Machine", sebbene con un taglio più marcatamente melodico soprattutto negli incroci delle voci, che ritornano come protagoniste anche nell'incredibile "Paradox", posta a chiudere un disco magistrale con un altro epos speculare a quello che lo apriva, in un crescendo allucinato e furioso da ascoltare col volume al massimo.

Forse il migliore album in studio degli Hawkwind, "Hall of the Mountain Grill" è anche l'ideale punto di partenza per un viaggio sonoro in compagnia del vento dei falchi, da cui potrete sia risalire il caos stellare delle origini, sia discendere nelle regioni di spazio più ordinate e strutturate degli album futuri.

- Prog Fox

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