domenica 28 settembre 2025

David Bowie: "Outside" (1995)

Il 25 settembre marcava il compleanno del cervelloticamente titolato "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: A Hyper Cycle", ventesimo album di David Bowie, largamente considerato l'epicentro della rinascita del camaleontico inglese rockettaro durante i '90. Questo pachidermico concept album, primo frammento di una trilogia mai proseguita, riportò il fu Major Tom sotto i riflettori, anche grazie all'omonimo tour fatto con il supporto dei NIN.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/4s8uvuby)

Se questa recensione fosse uno sketch di Mai Dire Gol, avrebbe come protagonista il Carlo Lucarelli di Fabio De Luigi. New Jersey, 31 dicembre 1999, la fittizia città di Oxford Town... E invece no, questa è Berlino, seconda metà degli anni '70, ed è anche New York e Montreux, Svizzera, autunno del 1995. Il ladro di galline Leon Blank viene ingiustamente incarcerato in attesa di giudizio per l'omicidio rituale, con annesse mutilazioni "artistiche", del/la teenager Baby Grace Blue, 14 anni, il cui assassino viene chiamato "minotauro" dalla stampa. Il detective privato Nathan Adler (così chiamato in onore dello psicologo, supponiamo), indaga, tra gruppi di artisti specializzati in omicidi-performance, spacciatori di droghe sintetiche, e l'alba dell'età della "rete nervosa" (nominata in onore dell'album di Brian Eno del 1992, supponiamo), ovvero il World Wide Web (che, incidentalmente, è il mezzo di comunicazione che vi permette di leggere questa recensione nel comfort della vostra stanza da bagno).***

Sfortunatamente, questa tartiflette di testicoli stantii che passa per "intreccio" ci viene scaricato in testa lungo le DICIANNOVE tracce e i SETTANTAQUATTRO minuti di questo concept album; come se non bastasse, il libriccino allegato al CD contiene 6 pagine di ulteriore contesto, a cui va aggiunto il diario fittizio del protagonista, pubblicato a puntate sul magazine Q per motivi che sicuramente qualcuno potrebbe e vorrebbe spiegarvi (questa recensione finirà per essere lunga quasi 7000 caratteri, abbiate pazienza).

Non che le decine di pagine di materiale multimediale aggiuntivo chiariscano perchè stracazzo Bowie infarcisca l'album di interminabili pianoforti atonali e performance vocali a tratti letteralmente anti-musicali (non solo nei "segue" recitati, ma anche in alcune delle canzoni propriamente dette). Il risultato è un disco che avrebbe un disperato bisogno di un clistere o, più educatamente detto, di un ulteriore lavoro di editing che riduca il running time di una buona mezz'ora, e rimuova con un bisturi-machete gli eccessi rumoristici degli arrangiamenti: l'80% dei pianoforti, il 40% dei vocalizzi, e un buon 15% di tutto il resto. No no, non ringraziatemi, mi basta un 3% sulle vendite e il nome nei crediti, visto che comunque stiamo scrivendo fan fiction e sognare un mondo migliore non costa niente.

(Ora immaginate l'Alberto Angela di Neri Marcorè pronunciare le parole: ) se avete avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, potreste aver intuito che questo "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: a Hyper Cycle" è un disco estremamente frustrante. Se fosse soltanto mediocre, Spartaco vostro avrebbe opportunamente dimenticato di recensirlo, e si sarebbe goduto il suo cocktail Martini olimpico e felice, indisturbato vieppiù. Invece "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: a Hyper Cycle" non può essere trascurato: la sua importanza nel catalogo del caro David non è dovuta soltanto alla menzione del Maggiore Tom in "Hallo Spaceboy", nè al tour in coabitazione coi Nine Inch Nails, che darà una vigorosa ristrutturazione allo status di alt-rock-star del fu Duca Bianco. No, no, no! Il fulcro della questione è che "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: a Hyper Cycle", nonostante la sua tediosa, rigida aderenza ad un vago concept Cyber-Neo-Noir, méta "Diamond Dogs" industrial-grunge, méta Humphrey Bogart a colori acrilici e metà David Cronenberg che gira una versione di "Twin Peaks" ambientata nell'universo di "eXistenz", contiene alcuni momenti sublimi e piú di qualche guizzo geniale.

Il disco sfoggia pezzi di assoluto riguardo, certamente tra i maggiori di tutta la produzione Bouiana: "Outside","Heart's Filthy Lesson" e "I'm Deranged" appartengono alla grande tradizione di rock tanto orecchiabile, quanto sbilenco e abrasivo, del Nostro, mentre "I Have Not Been to Oxford Town" adatta i suoi momenti più pop al suono dell'alt-rock coevo. Anche "We Prick You" è notevole nel suo unire i suoni techno di inizio '90 alla canzone art-pop (ma qualche zelota della musica italiana potrebbe suggerire che Battisti stava lavorando su quello stesso filone dal 1992, e avrebbe ben ragione), e "No Control" butta i Depeche Mode nel frullatore con risultati più che buoni. A questi highlight bisogna aggiungere "Hallo Spaceboy" e "Strangers When We Meet", avendo però in mente che entrambe esistono, in versioni superiori, al di fuori del disco: la prima, presentata qui come brano industrial rock di estrema violenza,forse il più heavy mai pubblicato da Bowie, ha nel remix dance-pop dei Pet Shop Boys un abito decisamente più confortevole (e non a caso sarà quest'ultima la versione "singolata"); la seconda la troviamo, con un arrangiamento e una performance vocale superiori, nel criminosamente sottovalutato, per non dire dimenticato, "The Buddha of Suburbia", che di questo "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: a Hyper Cycle" é non tanto prototipo, quanto versione più giovane, più bella e molto più coscienziosamente proporzionata (e a pensarci bene, i flirt con le sonorità dei Depeche Mode dei primi '90 iniziano già lí).

Tutto il resto dell'album, e per Cristo Onnipotente c'è un gran sacco di resto in quest'album, è un pesantissimo mesedozzo electroindustrial-ambientjazz-synthrock condito di pretenziosissima arte performativa, che non riesce a prendere quota per via della lunghezza eccessiva delle tracce, di performance vocali poco convincenti se non letteralmente anti-musicali, e di arrangiamenti al limite della cacofonia. Se "The Buddha of Suburbia" sfoggia una produzione svelta, snella e ben a fuoco, in cui il contributo di Mike Garson (il pianista) è limitato e ben affilato, qui il combinato disposto delle balle concettuali di Bowie (che durante la registrazione del disco era dedicato alla letteratura e alla pittura più che alla musica) e dell'interventismo intellettualista di Brian Eno, trasformano un potenziale capolavoro in un chiummo verso cui non provare sentimenti di irritazione è davvero difficile. Aggiungeteci i personaggi che si alternano come voce narrante: tutti interpretati vocalmente da Bowie, che qui non si accontenta di un nuovo alter ego ma scrive un intero cast di maschere che vorrebbero essere estremamente serie, ma finiscono per apparire un po' stucchevoli.

Chi scrive tralascia per carità di patria tutta la storia delle sessioni di registrazione, che fruttarono CINQUE ORE di materiale "strutturato" in composizioni di 20-30 minuti ciascuna, le "Leon Suites" che ogni discografico d'America rifiutó di pubblicare e che vennero, in parte, messe in circolo successivamente. Il concept di questo disco, (il cui estenuante titolo, "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: a Hyper Cycle", non ci stanchiamo di copincollare) non verrà mai portato a termine, lasciandoci appesi ad un Lynchiano cliffhanger, e il resto dei '90 di Bowie saranno non diciamo tristi, ma un po' malinconici sí, e a tratti persino mediocri. Ascoltatevi con gusto "The Buddha of Suburbia", lettori fedeli, e a questo disco date un ascolto per poter cogliere fior da fiore ciò che ha da offrire.

- Spartaco Ughi

***Forse, però, niente di tutta questa storia è reale e, nel contesto del Bowieverso, quello di cui siamo testimoni ascoltando "1.Outside: The Nathan Adler Diaries: a Hyper Cycle" altro non è che una nuova allucinazione del Maggiore Tom, in volo a velocità folle nello spazio profondo. Questa non è New York, questa non è Berlino o il New Jersey: questo è un piccolo frammento di terra immaginata, una città impossibilmente sospesa nello spazio come nel film "Dark City", in cui l'orrore per il vuoto del cosmo diventa depravata, perversa violenza, con un tocco di paranoia verso forze mostruose e senza volto, impersonali. Paura, eh? In retrospettiva, l'importanza di Outside è tutta qui.

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