giovedì 28 marzo 2024

Pink Floyd: "The Division Bell" (1994)

Esce trent'anni fa oggi "The Division Bell", quattordicesimo album in studio dei Pink Floyd. Tornati un vero gruppo grazie al tour di "Delicate Sound of Thunder" (1988), il chitarrista David Gilmour, il tastierista Richard Wright e il batterista Nick Mason rientrano in sala di incisione per consegnare il proprio testamento artistico ai posteri, anche se ancora non lo sanno. Per quanto manchino l'unità concettuale e i testi di Roger Waters dall'altro, e un certo controllo di qualità dall'altro, i punti più alti del disco sono ancora capaci di aggiungere qualcosa alla carriera di un gruppo che ha già dato quasi tutto il meglio di sé. Eppure questo scheletro dei Pink Floyd anni settanta, per quanto nostalgico e incompleto, rimane un momento che ha segnato il rock classico degli anni novanta.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/2cz6c6vz)

Inattivi dal 1983, i Pink Floyd erano tornati a lavorare dopo che il bassista Roger Waters aveva annunciato la fine del gruppo. Dopo esserne stata la principale forza creativa, Waters ne era anche stata la forza distruttrice: fatto fuori il tastierista Richard Wright, ridotto ai minimi termini il batterista Nick Mason, Waters vedeva il gruppo come un guscio vuoto che aveva detto tutto ciò che poteva dire, e un ostacolo per la propria carriera solista.

Non era per nulla d'accordo David Gilmour: altrettanto litigioso del vecchio sodale, il chitarrista era l'unico che era rimasto a tenergli testa durante le registrazioni di "The Wall" (1979) e "The Final Cut" (1983), gli ultimi due album in studio con Waters. Fu lui a convincere Mason che valeva la pena dare battaglia per il possesso del marchio Pink Floyd: dopotutto, era Waters ad essersene andato e non era il padre-padrone del gruppo. Nel 1987 Gilmour, con un miliardo di ospiti, tra cui Mason e il rientrante Wright, aveva pubblicato a nome Pink Floyd un nuovo album, l'appena discreto "A Momentary Lapse of Reason". Erano poi andati in tour mondiale, e avevano trovato un accordo legale con Waters. Ora sentivano che non si trattava più di combattere per la sopravvivenza, ma, ritrovate serenità e stimoli, di realizzare un disco che mostrasse quanto valevano i 3/4 (o 3/5, se considerate Barrett) dei Pink Floyd rimanenti.

Nel gennaio del 1993, due anni e mezzo dopo il loro ultimo lavoro, il concerto a Knebworth del 30 giugno 1990 (che aveva seguito quello di Venezia il 15 luglio 1989 e il tour mondiale 1987-1988), Gilmour, Mason e Wright si ritrovarono da soli con il bassista Guy Pratt, che li aveva accompagnati in tour e nei concerti, per improvvisare e comporre. Il risultato è stato documentato certosinamente: 65 idee musicali furono ridotte a 11 canzoni nell'arco di qualche settimana, eliminandone circa metà e unendo le altre.

Riuniti il tastierista live Jon Carin, il produttore Bob Ezrin e l'ingegnere del suono Andy Jackson, e richiamato per la prima volta dai tempi di "Animals" il sassofonista Dick Parry (che aveva suonato con loro l'ultima volta il 6 luglio del 1977), i Pink Floyd registrarono le undici canzoni e le pubblicarono con il titolo di "The Division Bell" (la campana che chiama i parlamentari britannici all'appello, menzionata nella traccia finale "High Hopes"). Anche gli altri membri della formazione estesa, incluse cinque coriste, compaiono in alcuni brani del disco, ma la gran parte dell'album è incisa semplicemente secondo la formula dei tre più due menzionati sopra, con grande beneficio dell'integrità dell'album.

Partiamo subito con analizzare i problemi del disco. Al primo posto troviamo la durata: 66 minuti di musica. Nell'era del CD, la durata eccessiva degli album è stato un problema comune a tantissimi, e spesso si è usata una lunghezza eccessiva per giustificare sia il costo per l'ascoltatore che dischi nei quali spesso giusto due o tre canzoni valevano il tempo dell'ascolto. "The Division Bell" ha ben più di un paio di canzoni di alto livello, ma in un disco di matrice nostalgica, che si richiama molto al suono degli anni settanta e mostra il gruppo come una entità non più rivolta in avanti come un tempo, ma raccolta nella contemplazione del proprio passato, una ventina di minuti potevano tranquillamente essere evitati.

Abbiamo così già introdotto anche il secondo problema del disco: la mancanza di innovazione e sperimentazione, imperdonabili per un gruppo come i Pink Floyd, specie perché, sebbene manchi l'apparato concettuale e lirico di un gigante come Roger Waters, erano soprattutto Gilmour, Wright, e anche Mason, spesso ingiustamente considerato una forza minore in questo ambito, a guidare sperimentazioni in studio, sviluppi tecnici e idee musicali innovative.

Terzo problema, al contrario degli altri due insormontabile, è dato dal fatto che manca Roger Waters. Questo, come già abbiamo detto, priva di unità concettuale il disco, cosa di cui avrebbe beneficiato data la lunghezza; meno grave il fatto che le liriche, scritte in gran parte da David Gilmour assieme alla nuova moglie Polly Samson, non siano all'altezza di quelle dei Floyd classici con Waters, ma non sono terribili: semplicemente sono in gran parte del tipo che ci si può aspettare da un gruppo neo prog anni novanta influenzato da quelli, senza infamia e senza lode.

Detto di tutte le ragioni addotte dai fan di Waters per disprezzare il disco, parliamo ora di quello che funziona. In primo luogo, l'atmosfera del disco: abbiamo detto che la mancanza di innovazione è dovuta al fatto che Gilmour, Mason & Wright non guardano più al futuro ma guardano indietro al passato; ma ci sono dei buoni motivi per questo. Stiamo parlando di un trio di musicisti cinquantenni, che sono passati attraverso fallimenti personali e relazionali, e da un decennio di contrasti all'interno del loro massimo progetto di vita: "The Division Bell" non è innovativo perché i Pink Floyd non sono ragazzi, ma adulti che stanno facendo un bilancio della loro esistenza. Questo colora di sincerità e umana debolezza tutto l'album.

Così risultano perfettamente incastonati fra le canzoni gli strumentali "Cluster One" e "Marooned", rispettivamente introduzione e intervallo al resto del disco. Ma in un disco di oltre un'ora non c'è bisogno del blues rock cadenzato di "What do you want from me" quando c'è già "Keep Talking"; non c'è bisogno di ben tre canzoni innodiche influenzate dagli U2 come "Take it back", "Coming back to life", "Lost for words": dato che nessuna di esse è indispensabile, forse ne basterebbe una; e in mezzo a tutte quelle canzoni malinconiche, forse si sarebbero potute tagliare "A great day for freedom" e "Wearing the inside out". Con un po' di lavoro di redazione, qui si sarebbero potuti tagliare facilmente quindici o venti minuti di musica e rendere l'album più compatto, meno slavato, più potente.

Per fortuna "The Division Bell" presenta anche canzoni che veramente aggiungono qualcosa di significativo alla carriera dei Pink Floyd, e che rendono questo disco qualcosa di più di un mero LP nostalgico per rimastoni: la scivolosa, semiacustica "Poles Apart", con una sezione centrale bandistica che richiama addirittura il ricordo di Syd Barrett; la rabbiosa "Keep Talking", con un intervento clamoroso di Gilmour nel finale, uno dei più emozionanti assoli al talk box che si siano mai sentiti nel genere (ci sono anche campionamenti della voce di Stephen Hawking, per fare più scena). Ma soprattutto "High Hopes", il massimo capolavoro dell'album, giustamente diventato un brano simbolo degli anni novanta, oltre otto minuti che condensano le idee di una carriera e rappresenano il testamento artistico di uno dei più grandi gruppi rock di sempre: il videoclip dalle immagini inquietanti e familiari, i suoni della natura, l'ossessiva campana a morto, la voce eterea di Gilmour, il finale struggente alla chitarra lap steel.

"The Division Bell" fu accolto dalla critica in maniera ondivaga, per i motivi oggettivi che abbiamo ampiamente discusso, ma anche per i soliti pregiudizi verso i dinosauri e il progressive rock. Sebbene i suoi limiti siano reali ed evidenti, è innegabile il fascino assoluto dell'opera, e in particolare delle sue canzoni migliori. Non è un caso che abbia raggiunto il primo posto in classifica in dieci paesi, tra cui USA e UK, e che il tour promozionale abbia venduto oltre cinque milioni di biglietti. Davanti alla macchina perfetta del tour, nessuno avrebbe pensato che i Pink Floyd non avrebbero più suonato dal 29 ottobre del 1994 al 2 luglio del 2005. Ancora meno avrebbero immaginato che si sarebbero riuniti, in quell'unica, ultima occasione, con Roger Waters.

- Prog Fox



#pinkfloyd:
#davidgilmour (chitarre classiche, acustiche, elettriche & lap steel; basso elettrico; voce)
#richardwright (pianoforte, piano elettrico, organo, tastiere & sintetizzatori; voce)
#nickmason (batteria & percussioni)


ospiti:
#guypratt (basso elettrico; tracce #2,4,6-9)
#joncarin (pianoforte, tastiere, sintetizzatori & programmazione; #2-5; 7; 9-11)
#samwallis (percussioni; #8-9)
#dickparry (sax tenore; #6)
#timrenwick (chitarra elettrica; #3,7)
#bobezrin (produzione; tastiere in #3,7) #sambrown (voce; #2,6,7,9)
#durgamcbroom(voce; #2,6,7,9)
#carolkenyon(voce; #2,6,7,9)
#jackiesheridan (voce; #2,6,7,9)
#rebeccaleighwhite (voce; #2,6,7,9)
#stephenhawking (voce; #9)
#michaelkamen (arrangiamenti orchestrali; #5,11)

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