venerdì 15 settembre 2023

Muse: "Absolution" (2003)

Esce il 15 settembre il terzo album dei Muse, "Absolution". Si tratta dell'album che sancisce senza appello l'ingresso del trio inglese nel mondo dei grandi, delle rockstar da stadio, nei gruppi da classifica. Un disco eccellente, primo, embrionale tassello di una 'Trilogia della Cospirazione' che comprende "Black Holes and Revelations" e "The Resistance", intriso di paranoia e preoccupazione, rappresenta il simbolo perfetto di come ci si sentisse ad essere adolescenti nel mondo della guerra in Iraq e del post-11 settembre.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/2uzt5tsn)

Difficile, per questo vostro umile recensore, tirare le somme del terzo album dei Muse senza tirare in ballo i "se" e i "ma", per tacere del senno del poi. L'abbiamo già domandato per iscritto: cosa sarebbe successo se il capolavoro "Origin of Simmetry" fosse uscito in America nel 2001, e non nel 2005, addirittura due anni dopo "Absolution"? E quanto è facile scorgere in quest'album, intriso di temi apocalittici trattati con il tono di un fumetto americano, i segni inconfutabili di ciò che verrà nella carriera dei nostri, nel bene ma anche (e, da un certo punto in avanti, soprattutto) nel male?Ma ci stiamo già inevitabilmente, indisciplinatamente sporgendo in avanti, cercando il bandolo di una matassa che in realtà esiste solo nella testa di me medesimo. Ordine in aula.

"Absolution" è il terzo album dei Muse, il primo a contenere un singolo da Top-10, e quello che segna l'ingresso del trio di Teignmouth nel club delle band che vendono, non tanto per un successo trasversale o esplosivo, quanto per il continuo allargarsi di una fanbase agguerrita, fedelissima, ed estremamente vocale. Aizzati da tattiche di guerriglia-marketing all'avanguardia per l'epoca, e da performance live che la leggenda definisce eufemisticamente "incendiarie", i musers di inizio millennio trasformeranno un trio di weirdos con la (stupida ed immeritata) nomea di "Radiohead del discount" in uno dei casi più curiosi della scena rock dell'epoca. Troppo strani e cervellotici per essere mainstream, troppo massimalisti e (semplificando) zarri per essere parte dei *circoli snob alternativi*®, e però troppo grandi per essere soltanto una band di culto. Una band che, sugli stessi solchi di un'ovvia esca da heavy rotation su Mtv come l'alt-pop "Time is Running Out", piazza un pastiche pop-prog-sinfonico e Queen-esco come "Butterflies and Hurricane", con tanto di intermezzo di piano che cita apertamente Rachmaninoff; che continua la propria ricerca sull'uso del pianoforte in maniere potenti ed imprevedibili, come nell'opening Waters-iano di "Apocalypse, please" e nella paranoica "Ruled by Secrecy"; che si concede un primo assaggio di sperimentazione orchestrale con l'emozionante crescendo di "Blackout". Una band che, allo stesso tempo, si conquista un fazzoletto di terra a metà strada tra il nu-metal e lo stoner rock nel classico "Stockholm Syndrome", ed en passant piazza anche una canzone dal tiri memorabile come "Hysteria", esaltando le doti di una delle sezioni ritmiche più sottovalutate della storia del rock in una traccia che è, ancora oggi, tra le più riconoscibili pubblicata dalla band. Altri pezzi sono minori, ma comunque deliziosamente Muse, tanto nel comparto musicale quanto in quello tematico ("The Small Print", "Thoughts of a dying atheist").

A giudicarli vent'anni dopo, in effetti, i peccati di Bellamy potrebbero sembrare, se non veniali, perlomeno in buona fede. La tracklist perde mordente per via di scelte sbagliate nella selezione delle tracce, con riempitivi insulsi come "Falling Away with you" e "Endlessly" inspiegabilmente inseriti nella tracklist a danno di autentiche perle (lo spettacolare grunge di "The Groove", la futuristica "Fury", possibile direzione per un rock del nuovo millennio che purtroppo non si è materializzata). Si può tuttavia facilmente immaginarne una versione "migliorata", con l'esclusione dei brani più deboli a favore degli altri testè nominati. Ciò che appare evidente, in prospettiva, è però il cinismo dell'operazione. Inserire due ballad insipide e melense nella tracklist può essere interpretato come un tentativo di arruffianarsi un pubblico più ampio; e "Sing for Absolution", carrozza di testa di un autentico treno di variazioni sul tema prodotte durante gli anni (da "Starlight" a "Resistance" fino a "Mercy" e oltre) è oggi stucchevole e trita, forse l'esempio più eclatante della tendenza al riciclo di Bellamy.

Se all'epoca "Absolution" venne indicato come l'apice della prima fase dei Muse, l'album è meglio spiegato come il primo, embrionale tassello di una "Trilogia della Cospirazione" che culminerà, sei anni dopo, con un tour negli stadi europei e con lo status di bizzarra superpotenza del rock mainstream, senza mai perdere la nomea di parvenu. Come i Radiohead di "Hail to the Thief" pochi mesi prima, i Muse si trovano in mezzo al guado (benché in due momenti diversi delle rispettive carriere), entrambe le band profondamente influenzate dal mondo attorno a loro, in procinto di cambiare in peggio. Le risposte date delle due band sono diverse quanto diversi sono i due frontmen, ma entrambe suonano intrise di paranoia, ansia e sfiducia nell'autorità. Se volete sapere come ci si sentiva ad essere teenager durante gli anni della Guerra al Terrore, ora avete i nomi di due degli album che meglio lo raccontano.

- Spartaco Ughi

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