giovedì 31 agosto 2023

Rolling Stones: "Goats Head Soup" (1973)

Esce il 31 agosto di cinquant'anni fa "Goats Head Soup", album dei Rolling Stones. Per molti critici, tra cui Lester Bangs, si tratta del primo disco della decadenza ("è dove l'immagine degli Stones cominciò a eclissare i loro traguardi artistici", S.T. Erlewine), sebbene contenga ancora classici come la celeberrima "Angie" e raggiunga il #1 in classifica sia in USA che in UK. Inciso in gran parte fuori dall'Inghilterra per motivi fiscali, è l'ultimo prodotto da Jimmy Miller, importante collaboratore del gruppo fin dal 1968.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/4hcwhyab)

L'inizio della fine o la fine dell'inizio? Nella saga dei Rolling Stones è decisamente difficile distinguere fra ciò che è mito e ciò che è reale. Per esempio, Mick Jagger aveva davvero tre palle? "Angie" è stata veramente scritta per Angela Barnett, prima moglie di David Bowie e madre di Zowie Bowie, meglio noto come Duncan Jones? Ma forse prima di parlare dell'ispirazione di "Angie" sarebbe il caso di parlare di "Angie", o almeno introdurla. Dopotutto potreste essere capitati su questa pagina per caso, in cerca di una fonte di conoscenza del rock alla quale abbeverarvi, giovani assetati che si sono svegliati ieri alle frequenze elettriche dei Maneskin, o perché avete trovato un disco delle Hole nella collezione di mamma.

Per non avere mai sentito parlare dei Rolling Stones bisogna essere particolarmente ignoranti anche secondo gli standard miserrimi delle nuove generazioni, ma facciamo finta che sia così. Uno dei gruppi rock più rappresentativi di sempre, se non forse il più rappresentativo di sempre, gli Stones nascono in Inghilterra negli anni Sessanta come amanti del blues, poi seguendo l'esempio dei Beatles, il primo gruppo autore esclusivo delle proprie canzoni, diventano una delle macchine di maggiore successo del decennio, e col loro look sporco e aggressivo, coltivato a tavolino dato che erano tutti dei borghesi della classe media, suscitano scandalo nei benpensanti e ammirazione nei ribelli di mezzo Occidente. Non guasta anche il fatto che il cantante Mick Jagger e il chitarrista Keith Richards sappiano anche scrivere canzoni elettriche, sporche e rabbiose, nelle quali non mancano di usare ogni forma di sgradevolezza lirica, da storie sordide di omicidi passionali a violenze di strada, riferimenti pornacciosi e abusi di stupefacenti, talvolta ma non sempre attraverso metafore più o meno esplicite. Ad incendiare il mito, purtroppo, anche la morte tragica dell'ex-chitarrista Brian Jones, ostracizzato dal gruppo e morto annegato nella propria piscina, e l'omicidio al festival rock di Altamont di uno spettatore, ucciso dagli Hell's Angels assunti dagli Stones come sicurezza.

Prodotti una serie di singoli e album entrati nella storia, nel 1973 gli Stones pubblicano "Goats Head Soup", e per la prima volta si trovano davanti un muro di ostilità da parte della critica. Ascoltando il disco, è difficile capire cosa sia successo per far loro perdere le grazie dei giornalisti musicali. Fastidio della stampa popolare per l'autoimposto esilio fiscale, tecnica usata da moltissimi musicisti per evitare le altissime tasse imposte dal governo laburista sui redditi più elevati, ma non proprio roba da ribelli di strada? Oppure c'era altro? Le canzoni sembrano rimanere di livello eccelso, la tecnica del gruppo non fa che affinarsi, la produzione di Jimmy Miller è perfetta, gli assoli di Mick Taylor più puliti e incisivi che mai. E allora cosa c'è che non va in questo disco?

Non sono certo le liriche di Jagger, che ormai costeggia da tempo l'autoparodia, sebbene la dipendenza sempre più pronunciata di Keith Richards dall'eroina dia una sfumatura sinistra a "Dancing with Mr D" (D di Death, ovvero Morte), che altrimenti potrebbe sembrare l'ennesima boutade del gruppo. Così rimangono un po' interlocutorie almeno per i testi anche "Doo Doo Doo Doo Doo (Heartbreaker)", guidata dal clavinet funky di Billy Preston, che parla di un poliziotto con una .44 (dopotutto sono gli anni dell'ispettore Callahan) che spara a un innocente e di una bambina di dieci anni che muore di overdose (dieci anni? e perché non sei? Mick doveva per forza essere più laido e provocatorio possibile?) e la conclusiva "Star Star", il cui titolo originale "Starfucker" fu censurato per volere della casa discografica Atlantic, e che ha un ridicolo testo basato su metafore sessuali alla frutta indegne di Gianni Morandi e riferimenti a star del jet set come John Wayne e Steve MacQueen.

L'ascolto attento del disco però mostra una chiara differenza rispetto a tutti gli album precedenti, ed è questa la motivazione della sorda e anche un po' inspiegabile riottosità dei critici a "Goats Head Soup", ovvero la sensazione generale di nostalgia e malinconia che pervade un numero eccessivo di traccie: "100 years ago", "Angie" (ballata acustica fra le più famose del gruppo), "Coming down again", "Winter". Sono tutti brani fantastici, ancora scritti con l'ispirazione e la qualità che contraddistingue l'epoca d'oro degli Stones, ma la rabbia non è più sostenuta da un sentimento sincero e Jagger, in particolare, per la prima volta si sente vecchio e superato. Un po' ipercompensa, e un po' inizia a struggersi.

Non più giovani leoni, gli Stones hanno resistito al vertice con la qualità artistica di "Sticky Fingers" (1971) ed "Exile on Main Street" (1972), ma ora, esaurita la giovinezza e la vena artistica fatta di rabbia e violenza, si devono affidare alla versione postmoderna di se stessi. Ironici più che rabbiosi, nostalgici più che rivoluzionari, struggenti più che romantici. I giovani e i rivoluzionari non glielo perdonano. I fan che stanno invecchiando li portano al primo posto in classifica. Visto a distanza di tanti anni, "Goats Head Soup" è uno dei più grandi album sulla fine della giovinezza, di quella giovinezza post-adolescenziale che oggi colpisce persino i quarantenni, che si sia mai realizzato nella musica rock.

- Prog Fox



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