venerdì 1 luglio 2022

Oasis: "Heathen Chemistry" (2002)

Usciva ai primi di luglio di vent'anni fa "Heathen Chemistry", disco degli Oasis. Dopo le incertezze rivelate in "Standing on the shoulders of giants", il gruppo ritornava col botto, vendendo cinque milioni di copie nonostante uno dei primi 'leak' di internet avesse svelato diverse tracce (alcune delle quali in forma non finita) mesi prima della pubblicazione. Un disco amato dal pubblico ma che divise la critica - e che Liam Gallagher, guardandosi indietro, non ama affatto: “I can’t even remember that one. I didn’t like the title either. ‘Heathen Chemistry’? F**k off.”



(disco completo: https://tinyurl.com/2p9xwzfm)

Las Vegas, fine aprile 2002. Una piccola sala concerti accoglie trionfalmente gli Oasis che, tra le loro solite manfrine e rivalità fraterne, iniziano un piccolo grande concerto per la folla entusiasta. Liam e Noel sono affiancati dai nuovi acquisti della scuderia, Andy Bell (basso) e Gem Archer (chitarra), che li accompagneranno fino alla tragica conclusione della loro storia, e al reduce Alan White (batteria), che rimarrà solo fino al 2004.

I Nostri iniziano a suonare ed insieme ai brani storici buttano lì una ghiotta anticipazione, qualche traccia tratta dal nuovo album, ancora non pubblicato. Potrebbe sembrare strano, ma per i due Gallagher non è una sorpresa che il pubblico inizi a cantare con loro; Liam e Noel apostrofano i fan con il consueto stile (chiamandoli “ladri e stronzi”, una cosa così) ma seguitano a suonare nuovi e vecchi pezzi. Sono ben consapevoli di quello che è successo qualche settimana prima.

Siamo all’inizio del nuovo millennio e il famoso leak delle tracce dell’inedito “Heathen Chemistry” è un caso mondiale. Nel collaudato e immutabile mondo analogico della musica del XX secolo, tra billboard e top-ten, vendite di dischi fisici e bootleg registrati male, lo “spettro che si aggira per l’etere” Napster ha dato ai suoi proseliti un’impensata ventata di futuro. Il disco è circolato nei canali peer-to-peer ben 4 mesi prima della sua uscita, fissata per il 1 luglio 2002.

L’attesa spasmodica per il quinto album degli Oasis e il conseguente “furto” delle tracce online creò un perfetto tsunami nella primitiva versione della Rete: in questo cyberspazio anarchico e destrutturato, i contenuti venivano scambiati senza alcuna velleità di ritorno economico. Tutto molto bello e nobile, ma con un solo problema: la gratuità crea in maniera incomprensibile un pessimo effetto empatico sulle masse e di conseguenza genera critiche quasi sempre negative. L’equazione disarmante “free = cheap”.

L’album esce ufficialmente a luglio e, come prevedibile, le critiche sono fredde e distaccate, considerando solo quelle migliori. Nonostante questo e pur considerando il leak, l’accoglienza del pubblico è buona. Con 5 milioni di dischi venduti nel mondo e 3 dischi di Platino nel Regno Unito, l’album rappresenta una vera risalita sulla vetta per la band e una boccata d’aria fresca, considerando il precedente “Standing on the Shoulder of Giants”.

Tornando alla recensione del disco, non possiamo che dare ragione al pubblico: l’album è innovativo ed elettrizzante, un eccellente Brit-Pop in tempi di profonda agonia del genere. Siamo ben lontani dagli anni ’90 e si sente, ma certe sonorità sono create per ricordare ma insieme guardare avanti, e fatte per rimanere.

Lasciando da parte la dimenticabile “The Hindu Times”, più un riempitivo che una vera top track, il cuore pulsante del disco sta nello splendido trittico “Stop Crying Your Heart Out”, “Songbird” e “Little by Little”, canzoni che sono di grande impatto, sia nella loro manifesta epicità che nella semplicità di accordi e parole.

“Stop Crying Your Heart Out” rappresenta la vera erede di “Don't Look Back in Anger”, con la sua straordinaria forza evocativa, capace di parlare direttamente al cuore di fan. Non a caso fu scelta come la canzone deputata ad alleviare le sofferenze degli Inglesi per l’uscita dai Mondiali di Calcio ai quarti di finale contro il Brasile (campione del mondo 2002).

“Songbird” è una splendida canzone di Liam, una bella sorpresa dopo l’esordio non proprio eccelso come autore nel precedente album: così semplice e diretta non è passata di moda dopo tanto tempo.

“Little by Little”, sussurrata e poi urlata nel ritornello da Noel è un passo avanti rispetto a precedenti tentativi non perfettamente riusciti del Nostro, che qui invece riesce ad equilibrare magistralmente ponderazione a scatti di rabbia, suo marchio di fabbrica (a volte abusato) da “The Masterplan”.

Citiamo “(Probably) All in the Mind” e “Born on a Different Cloud”, in cui una guest star di lusso come Johnny Marr ci accompagna all’ascolto con la sua inconfondibile chitarra.

Non potete lasciare il disco senza esservi immersi nella rumorosa “Better Man” (chitarre sempre del grande Marr) che nasconde in fondo il tesoro delle oramai scomparse “ghost track”, una strumentale e ispiratissima “The Cage”, splendido lavoro di chitarra di Noel.

Recuperate senza indugio questo splendido lavoro dei fratelli Gallagher e soci, ricordandolo anche come l’ultimo album di quel secolo ormai passato, in cui il lavoro in studio dei gruppi non era supervisionato da Social Media Manager, protetto da gelose case discografiche, blindato con NDA (accordi di non divulgazione) da schiere di tecno-avvocati; come se i dischi fossero un iPhone qualsiasi, che è sempre in uscita ogni autunno, in questo eterno ritorno delle nostre brandizzate esistenze.

- Agent Smith

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