venerdì 1 luglio 2022

Muse: "Hullabaloo" (2002)

Il primo luglio di venti anni fa usciva "Hullabaloo", doppio album semiantologico dei Muse. Interessante raccolta di singoli, tracce inedite e tracce dal vivo, è un valido contributo per inquadrare uno dei fenomeni rock degli anni ’00 al di là dei loro successi radiofonici, risalente a un'era in cui erano ancora una band di culto per chi, giustamente, non li considerava solo epigoni dei Radiohead.



Oh Cristo onnipotente, eccoci qua.

Permettete di raccontare un breve aneddoto: qualche anno fa, si stava giocando con colleghi a un blind test musicale, un gioco a la Sarabanda in cui bisogna indovinare il titolo, o più spesso l’autore, di una canzone. Ebbene, chi scrive urlò “Showbiz!!” non appena sentì il modo in cui la chitarra veniva accordata all’inizio della traccia numero 4 del secondo CD di questa strambo doppio album, metà compilation di b-sides e metà live che immortala il tour europeo 2001 dei Muse, all’epoca probabilmente all’apice della loro creatività in seguito all’uscita di “Origin of Simmetry”. Non che sia esattamente un vanto, ce ne rendiamo tutti conto, ma ormai chi legge i nomi in calce a queste recensioni sa chi sono, e quanto grave il mio problema con il power trio Bellamy, Howard e Wolstenholme sia (stato). O quanto profondo l’attaccamento, vedete un po’ voi.

Il punto è che i Muse, vent’anni fa, erano una band di culto, baciata da un discreto successo dopo i primi due album, ma ancora ben lontana dai concerti oceanici che diverranno la norma dei loro anni ’10. Un culto basato su un songwriting riconoscibilissimo, benché criticamente vituperato (basta andarsi a rileggere le malignità scritte sul conto di questo doppio da firme autorevoli, su pubblicazioni come NME e il Guardian) e su performance live incendiarie e spettacolari, pur senza megaschermi e altre amenità corollarie. E Hullabaloo, già allora, sembrava una celebrazione di (e, probabilmente, un tentativo di capitalizzare su) quello status di band con un seguito non gigantesco, ma estremamente agguerrito e motivato.

Il primo disco raccoglie alcune b-sides pescate dai dischi precedenti, scelte in maniera apparentemente arbitraria e non necessariamente rappresentativa dell’opus della band: si va dalla psichedelia di marca smaccatamente Thomyorkiana di “Forced in” e “The Gallery” ai deliri space-rock di “Shrinking Universe” e “Hyper-Chondriac Music”, ma poi ci si infila dentro jam session morelliane come “Yes Please” e “Ashamed” e momenti di pura stramberia come l’acustica “Map of your head” (incisa completamente da Bellamy), il rock-flamenco sinfonico di “Nature_1” e la malinconia della versione acustica di “Shine”, che verrà riesumata come uno zombie, un decennio dopo, in un disperato tentativo di rimpolpare la tracklist di un album brutto... Ma di questo parleremo tra qualche mese. Di questo primo CD si può dire che rappresenti, assieme all’EP “Random1-8”, il miglior compendio del ricco catalogo di tracce “minori” del trio del Devonshire, un tesoro mai abbastanza citato quando si discutono Bellamy e soci, paragonabile alle “Sci-Fi Lullabies” degli Suede per mole e qualità.

Il secondo CD, invece, seleziona 11 tracce dal concerto registrato allo Zenith di Parigi nell’ottobre del 2001. Per qualche motivo, che chi scrive non è mai riuscito a spiegarsi, mancano del tutto i singoli chiave della band, eccetto “Muscle Museum”: non ci sono “Bliss”, “Newborn”, mancano “Sunburn” e “Plug in Baby”. Rimangono tracce meno mainstream, come le straordinarie versioni live di “Citizen Erased” e “Showbiz”, oltre al singolo “Dead Star”, rilasciato per l’occasione. Il CD quindi è buono ma non eccezionale: molto meglio la versione video/DVD, che raccoglie la bellezza di 20 tracce, inclusi tutti i singoli succitati, e rappresenta la testimonianza ultima di cosa fosse un concerto dei Muse negli anni del loro apogeo.

Importante per inquadrare uno dei fenomeni rock degli anni ’00 al di là dei loro successi nelle radio e su MTV, nonchè documento affascinante e pezzo semidimenticato della storia di una band che, nel bene e nel male, ha segnato la storia del rock del 21esimo secolo, “Hullabaloo Soundtrack” è soprattutto un’opera godibile e sfaccettata. Consigliata nella versione audio, assolutamente fondamentale nella versione live estesa in DVD.

- Spartaco Ughi

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