giovedì 2 maggio 2019

Stone Roses: "The Stone Roses" (1989)



C'è da incazzarsi di brutto a recensire il primo album degli Stone Roses. Vi potrei scrivere solo: "E' buono ca.., andatevelo ad ascoltare e fanc..." (mostrando indice e medio alzati in segno di vittoria, ma con il pugno girato verso di voi). Sarebbe più semplice perché questo album colossale è una stella incostante, un oggetto siderale unico, e qui vorrei canalizzare tutta la mia acredine, dopo la scoperta a posteriori di come tutto sia finito. Ma partiamo con ordine.

Gli Stone Roses si formano nel lontano 1983 e per circa 6 anni girano e fanno concerti nella scena underground, sfornano qualche singolo, fino a quando, con discreta fatica, non pubblicano il loro primo album il 2 maggio del 1989. Un album che è un capolavoro. Dopo di questo, rampa di lancio privilegiata per ogni band che si rispetti, avviene l'indicibile. Il caos totale. Iniziano tremende litigate tra il gruppo e l'etichetta discografica, rea di aver mandato in onda una canzone (Sally Cinnamon) con un pessimo videoclip, ed il tutto degenera in una specie di happening messo in atto dalla band. Il 30 gennaio 1990 si recano presso la FM Revolver e, armati di vernici multicolori, imbrattano la sede, i presenti e le due auto parcheggiate con schizzi in stile Pollock (amato dal chitarrista Squire, come potete vedere dalla copertina). Entrano nella leggenda del rock britannico, ma possono dire addio alla loro carriera. Cause legali e l’assenza di un qualunque tipo di supporto logistico decreterà la loro prematura fine.

Incazzatura a parte, forse tutto ciò serve per alimentare il mito, come il caratteraccio di Morrissey, il suicidio di Ian Curtis o le litigate dei Gallagher. Confluisce nella grande aura gravitazionale dei sobborghi post-thatcheriani di Manchester, punto focale indiscusso e fucina di talenti unici, che la trasformarono nella città privilegiata nella scena "baggy" degli anni 80' a prima metà 90'; inutile ripercorrere qui tutta la sua storia e gli innumerevoli gruppi che si sono succeduti.

Musicalmente parlando, gli Stone Roses sono parte di questo humus culturale; non sono di certo ascrivibili alle malinconiche ballate degli Smiths e sono anni luce dal syntho-punk dei Joy Division (che ha preso tutta un'altra strada, sbarcando oltreoceano, mutando pelle e guardaroba huppie), ma ne ereditano le impressioni acid house, innestandole nel sistema nervoso del primo disco.

Il disco è la pietra angolare di tutto il britpop che caratterizzerà gli anni 90’: possiamo dire che rappresenta quell’essenziale punto di svolta in cui sono condensate tutte le sonorità a venire, la stella polare che sta per esplodere e diventare Supernova, le cui emissioni di energia si trasformeranno in nuova materia musicale. Liam Gallagher, dopo aver ascoltato “I Wanna Be Adore”, la prima canzone dell’album, tornò a casa e confessò ai genitori che il suo futuro sarebbe stato come cantante; non ci sarebbero stati ripensamenti.

Andatevi ad ascoltare il disco ora. Lasciatevi prendere dal crescendo della già citata prima canzone; rimanete estasiati dalle parole di “Waterfall”, quasi uscite da una lirica di Dylan Thomas; cantante a squarciagola il ritornello di “She Bangs The Drums”; cercate di comprendere gli infiniti intrecci che una ballata come “(Song for My) Sugar Spun Sister” hanno portato alle future generazioni del Britpop. Infine risorgete con “I Am the Resurrection”.

Come vedete il cattivo umore per la mancanza di successo planetario per questo grande gruppo passa presto, anche se la vena malinconica rimane, come una luce fioca che balugina nel campo visivo periferico. E forse non è proprio questa la sintesi di tutto quel meraviglioso e florido periodo?

- Agent Smith

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