mercoledì 6 luglio 2022

Emerson Lake & Palmer: "Trilogy" (1972)

Usciva il 6 luglio di cinquant'anni fa "Trilogy", uno dei migliori dischi della produzione del supertrio di virtuosi progressive inglesi formato da Keith Emerson (tastiere), Greg Lake (basso e voce) e Carl Palmer (batteria). Disco fenomenale che per molti (ma non per tutti) rappresenta il culmine della carriera del terzetto, è uno dei migliori album dell'età dell'oro del progressive rock.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/37554r9z)

Quando entrano in studio per registrare "Trilogy", Keith Emerson (tastiere), Greg Lake (basso e voce) e Carl Palmer (batteria) hanno rispettivamente 27, 24 e 22 anni e sono già tutti dei veterani del rock, strumentisti dalla preparazione eccelsa, famosi e di successo.

Quanto più velocemente si sale, tanto più precipitevolissimevolmente si scende, e i nostri amici lo scopriranno in un anno o due, non senza qualche responsabilità individuale ma anche collettiva, ascrivibile al genere, il progressive rock, che contribuirono a inventare in tre delle prime formazioni del genere (Nice, King Crimson e Atomic Rooster). Ma in questo momento, dopo i buoni risultati di pubblico del disco d'esordio ("Emerson Lake & Palmer", 1970), della versione dal vivo dei "Quadri di una esposizione" di Mussrogsky ("Pictures at an Exhibition", 1971), e del secondo album in studio "Tarkus" (1971), il loro entusiasmo, la loro fiducia in se stessi e la loro voglia sincera di sperimentare e realizzare arte sono ancora intatti.

Descrivere il vero e proprio entusiasmo sonoro che colpisce sin dalle prime note del disco è impossibile per chi non condivida il verbo di questo trio di scienziati pazzi della musica rock, smargiassi smisurati, virtuosi accecati dal sole delle proprie capacità eppure dotati a loro modo di autoironia e volontà di travalicare generi e suoni senza rispetto per nulla (dote imparata da Frank Zappa, né più né meno come per Elio e le Storie Tese, per esempio).

La suite tripartita di "The Endless Enigma" è semplicemente una delle cose più belle mai realizzata nel progressive rock, e uno dei punti più alti come cantante della carriera di Greg Lake. La fuga di Emerson che separa le due parti cantate mette insieme classica, jazz e rock trascendendoli tutti tra estro melodico e improvvisazioni, prima di riportarci alla stupefacente teatralità della voce di Lake.

Dopo questi dieci minuti uno scuserebbe al trio delle meraviglie anche un disco meno che mediocre, e invece arriva una delle più celebri ballate della loro opera, "From the Beginning", che si affianca a capolavori come "Lucky Man" (1970) e "Still you turn me on" (1973) nel risultare uno dei pochi passaggi radiofonici ancora attuali dell'opera dei nostri. Con una introduzione alla chitarra acustica in cui Lake fa l'occhiolino allo Steve Howe di "Roundabout", un andamento quasi latino, un basso fluido e liquido, e uno splendido assolo di sintetizzatore di Emerson, è un brano misurato sin dal pacato contributo percussivo di Palmer, il cui equilibrio da l'esatta dimensione della grandezza dei tre artisti, assolutamente capaci di tenersi lontani dal virtuosismo fine a se stesso per fare il bene della musica.

"The Sheriff" rappresenta un altro momento goliardico, uno di quelli che incendia i detrattori del gruppo invece di farne capire la capacità di non prendersi sul serio, e fa da spartiacque e interludio comico fra le due parti più impegnative del disco, gettando alla rinfusa un organo rhythm'n'blues, un elaborato ritmo di batteria, una strofa nostalgica che si alza di tonalità nel punto più appropriato, e uno scatenato pianoforte da saloon scalcinato.

La seconda parte del disco si costruisce sul chiasmo fra gli strumentali "Hoedown" e "Abaddon's Bolero" (rispettivamente una stratosferica, esilarante, luminosa, sfrenata rilettura del classico del compositore Aaron Copland e un ossessivo e minaccioso bolero elettrosintetico) e le canzoni "Living Sin" (un hard rock tastieristico giocato sui tempi medi, con una strofa poco interessante salvata da un violento ritornello) e "Trilogy", un altro capolavoro conturbante. Sorta di romanza pianistica cantata dal Lake più affabile e romantico, la canzone subisce poi una violenta metamorfosi condotta dal pianoforte di Emerson, esplodendo sotto i colpi della batteria di Palmer.

Si così arriva al termine del disco prostrati dal volume di idee, melodie e note concentrato in un così fragile oggetto di vinile.

È forse questo uno dei massimi capolavori del progressive rock?
È forse questo il migliore album di Emerson Lake & Palmer?

Sì, sì, sì.

- Prog Fox

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