giovedì 7 luglio 2022

Dream Theater: "Images and Words" (1992)

Il 7 luglio di trent'anni fa esce "Images and Words", il più importante e influente album della storia del progressive metal. Con l'arrivo del nuovo cantante James LaBrie, i Dream Theater diventano il più noto e importante gruppo prog metal degli anni novanta, segnandone in maniera irrevocabile la storia tramite la sua fusione di neo prog e speed metal al fulmicotone.



(disco completo: https://tinyurl.com/2p8tyuns)

Pochi dischi nella storia del rock si collocano come punto più elevato e influente di un intero genere, le cui coordinate sono create e definite quasi interamente nella sua pur breve durata. Possiamo pensare a "In the court of the crimson king" per il progressive rock classico, al disco d'esordio dei Ramones per il punk, a "Ziggy Stardust" per il glam, a "Misplaced Childhood" per il neo prog britannico negli anni ottanta. Jimi Hendrix, Beatles, Led Zeppelin, Black Sabbath, Talking Heads, Clash, Metallica hanno creato troppi dischi di valore in un limitato lasso di tempo perché ci sia intesa su quale loro disco sia 'il più fondamentale' per l'hard rock, il punk inglese, o meglio perché abbia anche un senso porsi questa domanda.

Per il progressive metal, invece, esiste un disco chiaramente posto un gradino sopra a tutti gli altri, per importanza rivestita all'interno del genere nel definirlo, per influenze esercitate e per intrinseco valore musicale. Prima di "Images and Words" dei Dream Theater, infatti, i gruppi prog metal suonavano una cosa, e dopo ne suonarono un'altra. Come prima e dopo John Coltrane, Jimi Hendrix, Van Halen.

I Dream Theater avevano già inciso "When dream and day unite" con il cantante Charlie Dominici, un tenore stile eighties alla Lou Gramm o Jimi Jamison, che però non era risultato adatto come stile e capacità vocale agli obiettivi musicali del gruppo. Separatisi amichevolmente da lui, i restanti Dream Theater (John Petrucci alla chitarra, John Myung al basso, Kevin Moore alle tastiere e Mike Portnoy alla batteria) trovano nel canadese James LaBrie, cantante dallo stile enfatico e teatralmente sofferto, tecnicamente ineccepibile, dall'ampia estensione vocale, l'interprete ideale delle loro ambizioni.

In "Images and Words", tali idee raggiungono compiuto sviluppo in un momento di rara, sublime perfezione. I Dream Theater costruiscono una architettura musicale che si regge su un tecnicismo mutuato dai canadesi Rush, uno stile melodico che si nutre del progressive di Kansas e Marillion (e in misura minore dell'heavy degli Iron Maiden), e infine sui pilastri di una sezione ritmica in stile thrash metal tecnico, in cui è fondamentale il ruolo del batterista Mike Portnoy, la pietra angolare su cui si può basare l'intero edificio del progressive metal post-1992.

Fondere suoni e virtuosismi del thrash metal con quelli del neo progressive è, essenzialmente, il colpo di genio che trasforma i Dream Theater nella band preferita da tutti i riccardoni del mondo, in un gruppo di culto, e nel gruppo più importante di tutto il movimento. Canzone-simbolo di questo esito è "Another Day", ballata strappamutande che ruba il ponte ai Marillion di "Kayleigh", impiega il sax soprano easy jazz dell'ospite e amico Jay Beckenstein, e porta il gruppo addirittura in classifica in uno dei momenti più bui del movimento progressive. Allo stesso tempo la canzone incarna anche i limiti del gruppo (e del genere) così come individuati dai critici: LaBrie che sale talmente in alto che le sue parole diventano solo suoni incomprensibili in tonalità da eunuco, il virtuosismo fine a se stesso degli strumentisti, il pathos serioso al punto da sfondare la barriera dell'autoparodia. Ma se li incarna, ai Dream Theater non gliene frega manco nulla, perché è proprio così che i cinque musicisti si vogliono.

Per quanto valida, "Another Day" non è nemmeno la migliore canzone del lotto. Difficile scegliere la più riuscita fra "Learning to Live", a firma del silenzioso bassista Myung (quasi inaudibile nel missaggio criminale che mette in primo piano sempre e solo la chitarra di Petrucci e la batteria di Portnoy) e la luminosa "Surrounded" del tastierista Kevin Moore. La prima inizia con un crescendo che ricorda alla lontana il modello ascensionale di "Heart of the Sunrise" degli Yes, prima di evolvere spaziando fra chitarre flamenco, tastiere fusion, urla sgolate e un ulteriore crescendo finale. La seconda riesce a risultare epica e struggente allo stesso tempo anche grazie a una delle melodie di tastiera più emozionanti del disco, punteggiata dai tempi mutevoli di Portnoy (che qui si dimostra discepolo devoto anche di Neil Peart dei Rush) e da un riff effettato di Petrucci che rievoca lo stile ritmico di Steve Rothery dei Marillion.

Naturalmente su un disco prog metal che si rispetti ce n'è per tutti i gusti: chi predilige uno stile più muscolare può affidarsi alle ottime "Pull me under" (altro esempio esilarante di heavy prog quasi ridicolo nella sua voluta, strepitosa ottusità, affettuosamente nota come "Paul Meander" fra alcuni fan italiani) e la più sobria "Take the time" (in cui emergono anche influenze di gruppi funk metal virtuosi quali i Living Colour).

Se invece siete riccardoni fino al midollo, ci sono la tempestosa "Under a glass moon" (nella quale si assaporano influenze di Yes e Iron Maiden) e soprattutto "Metropolis part I": dall'introduzione di tastiera all'interludio di batteria che apre alla ritmica in palm mute di Petrucci e alla strofa di LaBrie, dai tempi dispari sui quali Petrucci tesse riff crimsoniani e assoli da guitar hero anni ottanta degni di un Van Halen, un Marty Friedman o uno Steve Vai, al rivoluzionario assolo di basso in tapping dell'impagabile Myung, il pezzo si evolve proteiforme nella migliore tradizione ipertecnicista del progressive metal. Ha il solo difetto di avere un titolo sfortunato che ha costretto il gruppo a inciderne un seguito - "Metropolis Part II: Scenes from a Memory" (1999) - molto amato dai fan e guardato con malcelato fastidio dal vostro umile recensore qui presente.

Fortunatamente, prima di quei giorni infausti, ci sarà da parlare del secondo grande capolavoro della carriera dei Dream Theater, "Awake", con cui il gruppo si confermerà a livelli altissimi nel 1994.

- Prog Fox

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