giovedì 2 giugno 2022

Pink Floyd: "Obscured by Clouds" (1972)

Cinquant'anni fa oggi usciva "Obscured by Clouds", settimo album dei Pink Floyd. Scritto per la colonna sonora del film "La Vallée" di Barbet Schroeder, fu realizzato in una pausa dalle registrazioni di "Dark Side of the Moon", prima della partenza e dopo il ritorno da un tour in Giappone. Il disco più delicato e minimalista del gruppo, sicuramente opera minore ma dotata di un innegabile fascino.



(disco completo: https://tinyurl.com/3xsky93p)

Nel 1972, mentre sono impegnati in una intensa attività concertistica, e nelle registrazioni del nuovo album in studio, "Dark Side of the Moon", che uscirà nel 1973, i Pink Floyd vengono contattati dal regista francese Barbet Schroeder, per il quale hanno realizzato alcuni anni prima la colonna sonora del film "More" (in Italia uscito come "Di più, ancora di più"). Schroeder vorrebbe che realizzassero una nuova colonna sonora per il suo film "La Vallée", ambientato in Papua Nuova Guinea.

I Pink Floyd visionano il film, prendono appunti e decidono di realizzare una colonna di getto, non strutturata, non finita, impressionista. Quando però poi si trovano a incidere, questi schizzi si tramutano perlopiù in canzoni vere e proprie, dal sapore nostalgico e minimalista. Problemi con la casa di produzione cinematografica li portano poi a pubblicare l'opera non nel formato della colonna sonora ma come vero e proprio disco in studio.

"Obscured by Clouds", questo il titolo che rimpiazza quello del film, è una delle opere minori dei Pink Floyd, indubbiamente uno dei nadir della produzione del gruppo; ciò però non toglie che possieda un suo fascino, che si esprime in alcune canzoni veramente riuscite: il fatto che si tratti di canzoni vere e proprie, del tutto slegate le une dalle altre, è veramente bizzarro, considerato che dovrebbe esistere una unità tematica garantita dalla natura di colonna sonora che invece è del tutto assente. Ci troviamo così a sentire un mucchio di canzoni buttate lì senza un filo conduttore e senza una coerenza, il che toglie inevitabilmente forza al prodotto finale - il classico caso in cui il prodotto finale vale meno delle singole parti che lo compongono.

A farla da maestro è il tastierista Richard Wright, testimoniando ancora una volta della centralità della sua figura in questa fase di transizione e consolidamento della carriera dei Pink Floyd (diciamo da "Atom Heart Mother" a "Wish you were here"). Sue sono la letargica, lunare "Burning Bridges", secondo di tre meravigliosi duetti vocali con il chitarrista David Gilmour (segue "Echoes" su "Meddle" e precede "Time" su "Dark Side of the Moon") e la sofferta, malinconica, cinica "Stay", due dei momenti migliori dell'album.

Interessanti anche i due brani centrali a firma Gilmour/Waters, il rock senza fronzoli "The Gold It's In The?", con un bel solo del chitarrista, e la deliziosa "Wot's... Uh the Deal?", nello stile semiacustico sperimentato con buoni risultati su "Meddle" l'anno prima, slide inclusa.

Il resto della colonna sonora scorre senza infamia e senza lode, con la grintosa "Childhood's End" di Gilmour un filo sopra alle altre e la radiofonica "Free Four" di Waters modesto successo di classifica come singolo americano. I numerosi strumentali non impressionano affatto, al contrario della tradizione dei Pink Floyd, con "Mudmen", ripresa del tema di "Burning Bridges", onesta ma non certo coinvolgente, ripetendo il ritmo letargico senza le armonie vocali a pochi minuti di distanza dalla sua prima proposizione.

Come detto, un episodio minore, con una sua composta dignità e picchi che non sfigurano certo se confrontati con la fase successiva della carriera del gruppo, con uno stile interlocutorio fra "Meddle" che li precede e "Dark Side of the Moon" che li segue. Per completisti.

- Prog Fox

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