domenica 26 giugno 2022

Aphrodite's Child: "666" (1972)

Usciva il 26 giugno di cinquant'anni fa "666", terzo e ultimo album (doppio) degli Aphrodite's Child, gruppo di rock psichedelico e progressivo greco di cui erano membri fondatori il cantante e bassista Demis Roussos, il tastierista Vangelis e il batterista Lukas Sideras. Sul mastodontico, ambizioso, controverso "666", album dedicato al tema del Giudizio Universale, è tornato a far parte del gruppo anche il chitarrista Anargyros Koulouris. Il disco fu inciso tra 1970 e 1971 e le registrazioni si conclusero con lo scioglimento del gruppo e l'avvio di una ricca carriera solista sia per Roussos sia per Vangelis.



(doppio LP qui: https://tinyurl.com/yckks5hk)

Gli Aphrodite's Child, ovvero Demis Roussos, Vangelis, Lukas Sideras e Anargyros 'Silver' Koulouris, si formano nel 1966 in Grecia, paese dal quale fuggono a causa del pessimo clima politico, lascinadosi però dietro le spalle Silver, costretto al servizio militare. Quando Kolouris li raggiunge, i tre compagni hanno pubblicato due dischi e numerosi singoli di successo in Francia, e nel 1970 cominciano il lavoro a una ambiziosa opera, scritta da Vangelis su liriche e temi di Kostas Ferris, che vuole trattare del tema del libro biblico dell'Apocalisse.

Roussos, Sideras e Koulouris hanno delle riserve sul lavoro, non tanto sull'opera in sé quanto sulle potenzialità commerciali di un doppio LP a tema apocalittico denso di canzoni stranianti e strumentali complessi. Vangelis è stufo del pop e vuole sperimentare, il clima nel gruppo non è il massimo e tutto peggiora ulteriormente quando, nel 1971, l'opera finita viene rigettata dalla casa discografica Mercury, nonostante il supporto di artisti come Salvador Dalì e concerti e iniziative intrapresi dagli Aphrodite's Child nel tentativo di farsi pubblicare.

Davanti alla mala parata, il gruppo si disintegra e mentre Demis Roussos, Vangelis e Lukas Sideras intraprendono carriere soliste di vario respiro, il brillante chitarrista Koulouris si dedica alla carriera di musicista in studio. Finalmente, nel giugno del 1972 la Mercury, visto il crescente interesse per l'art rock, ipotizza di avere un buon prodotto in mano e decide di rilasciarlo: il disco diverrà un album di culto.

Ma, culto o meno, retroscena interessanti a parte, quanto vale "666"? Vale parecchio, questo è certo, nel bene e nel male. L'album ha alcune doti innegabili: un solido nucleo di canzoni affascinanti, come l'iniziale "Babylon", un entusiasmante brano art rock che aggiorna al nuovo decennio il pop barocco dei loro primi lavori; l'epica "Four Horsemen", caratterizzata da una sofferta, grandiosa prova vocale di Roussos e da un assolo al fulmicotone di Koulouris; e la conclusiva, melanconica "Break", che mette fine all'Apocalisse e alla Storia con tono appropriatamente dimesso e ironico. Le musiche sono ben arrangiate e ben suonate, con Koulouris e Sideras in particolare brillanti discepoli di Hendrix e Mitchell. E considerato che l'opera si estende su ben quattro facciate strabordanti di ogni cosa, è notevole che quasi tutti i pezzi abbiano qualcosa di interessante da mostrare, con cui giustificare la propria esistenza.

Il lato negativo sta nella lunghezza eccessiva e a un rapporto squilibrato a favore degli strumentali sperimentali rispetto ai momenti di respiro, per cui provare ad ascoltare l'album in una sola seduta può essere piuttosto stancante. Pensiamo per esempio al brano più controverso del disco, "∞", in cui la famosa attrice greca Irene Papas simula un orgasmo per cinque minuti: può essere sorprendente ed esilarante la prima volta che si ascolta, ma se uno volesse risentirsi l'album tre o quattro volte, l'idea di passare attraverso queste forche caudine potrebbe essere troppo per una persona normale. Oppure "All the seats were occupied", i 19 minuti che occupano quasi tutta la quarta facciata del doppio: considerate le numerose riprese e i cut-up da tutti i brani precedenti, non si poteva proprio ridurne la durata?

Il giudizio dell'ascoltatore dipenderà anche da come ritiene che debba essere considerata un'opera discografica: qualcosa che andrebbe iniziato e finito come una sorta di concerto da camera, oppure come un libro, che si può sorbire lentamente, un po' alla volta, magari ripassando i passaggi più complessi? Magari un'esperienza unica, da non ripetere una volta conclusa? Ai posteri l'ardua sentenza.

- Prog Fox

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