martedì 10 maggio 2022

Duran Duran: "Rio" (1982)

In questo giorno quarant'anni fa veniva pubblicato "Rio", secondo album e vertice della carriera dei Duran Duran, gruppo simbolo dei new romantics britannici. Discepoli tanto degli Chic quanto dei Roxy Music post-Eno, del Bowie berlinese e degli Ultravox, i Duran Duran realizzano un disco superbo, il cui successo clamoroso regala loro una fama al cui peso non possono reggere. Ma per un breve momento essi sono la migliore pop band del pianeta - sofisticati e decadenti, incandescenti ed effimeri come un tramonto.



(disco completo: https://tinyurl.com/468j7hs3)

Il punk è morto e lo ha ucciso Simon Le Bon. Mentre da noi si dovrà aspettare il 1986 per vedere una paninarissima Barbara Blanc inseguire un utopico sogno di nozze con il front-man dei Duran Duran, portando al parossismo l’idealizzazione musicale di una generazione di teenagers nostrani, è invece il 1982 l’anno della rivoluzione mondiale della new wave britannica. Ed è con l’album manifesto “Rio” che finiscono in un istante gli anni 70’, il punk, il glam, l’impegno politico, le bombe delle sei che non fanno male e il cantautorato severo.

Le sonorità spaziali dell’eponimo primo disco si evolvono e trovano nuova forza innestandosi in una godereccia anglodisco romantica, che spezza le convenzioni musicali di un’epoca ancora incerta tra continuità elitaria e nuovo consapevole disimpegno. Non a caso le prime recensioni all’uscita del disco sono quasi unanimemente negative, ma considerato il grandissimo successo nelle vendite, irrompe fragorosa la spaccatura tra critica e fruizione musicale, tra accademia e Paese Reale. L’accusa di frivolezza, mancanza di pathos e di essere un lavoro derivativo (New York Times, mica Frigidaire) sono la prova definitiva di un mondo musicale che sta per essere travolto dalla nuova onda lunga e molti parametri saranno rivisti in toto.

“Rio” è un capolavoro musicale degli anni ’80, probabilmente il miglior lavoro dei Nostri. Lo si può accusare, oggi come ieri, di essere frivolo ed edonista, discotecaro e senza spessore ma, alla fine, rimane senza dubbio una delle pietre angolari del genere pop contemporaneo. Ancora oggi la qualità musicale, artistica e perfino illustrativa (la splendida “Nagel Woman” di copertina disegnata dal geniale e compianto Patrick) sono rimaste pure ed inimitabili, nonostante lo sforzo commerciale che gli emuli scarsi dei Duran Duran hanno profuso negli anni a venire. Sono loro che hanno trasformato il genere musicale “pop” in sinonimo di scarsa preparazione e piattezza stilistica: gruppi costruiti a tavolino orientati alla sola sovraesposizione mediatica. Se siamo usciti quasi indenni dagli anni ’80, corazzati come eravamo tra Moncler e Timberland, il contagio ha infettato il decennio successivo, con invasioni di inoffensive boy-band di cartone: poveri semi-dei zoppi, sensuali ma vuoti. Neanche si può fare un impietoso confronto con l’apollineo Le Bon, sintesi maschile di quel post-glam che diventa geniale commercial di se stesso, nel tempio pagano del pop, dove teenagers adoranti consumano i loro divi.

Tornando ai brani, la title track è una splendida crociera virtuale nei mari caraibici, in cui le chitarre elettriche lasciano spazio ad un entusiasmante sintetizzatore, arpeggiando e trasformando suoni che prendono vita nel video diretto dall’immortale regista Russell Mulcahy. Ballabile e cantabile come un tormentone di lusso. "Hungry Like the Wolf" descrive una giungla d’asfalto in cui il maschio alfa caccia la sua prossima preda femminile come un lupo affamato, roba che oggi neanche a dirlo, ma rende bene il concetto di sessualità libera e promiscua di quel periodo che non ha ancora avuto lo stop categorico dalla piaga globale dell’AIDS.

"Save a Prayer", sublime e romantica ballata che glorifica l’amore fugace, veloce e trasgressivo, ma senza rimpianti e remore: loro la chiamano “avventura di una notte”, ma noi possiamo chiamarlo paradiso. Che stile.
"Lonely in Your Nightmare" innesta nel disco un concetto di cura e compassione, di vicinanza e calda passione, ma fatta con dolcezza, quasi a stemperare i temi delle precedenti canzoni, ricavando un piccolo a parte nella libido inesauribile che trasuda dall’album.

I testi dell’album sono ottimi e rappresentano una severa lezione ai gruppi che si avvicinano al pop con desideri di mero successo commerciale, così come la scelta delle musiche, anche se l’amore per i suoni sintetici e certe campionature diventeranno poi più di un marchio di fabbrica che condannerà i Duran Duran ad una perpetua ripetizione dei medesimi cliché stilistici. Non qui comunque; Rio si conferma lussuoso compendio del decennio più contraddittorio e caricaturale del secolo passato. Tra godimento e morigerazione forzata, tra concerti oceanici e testi intimisti, tra balli di gruppo e minimalismo orientale. Sono anni che non torneranno, ma potete sempre viaggiarci di nuovo con la loro musica immortale.

- Agent Smith

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