Veniva pubblicato oggi quarant'anni fa "The Single Factor", album dei Camel, qui ridotti al solo membro fondatore Andrew Latimer, chitarrista e voce del complesso. Forse il titolo è ispirato a questo, oppure per la vena 'pop' del disco, che proseguiva sulla scia del precedente "Nude", con risultati abbastanza deboli e generale insoddisfazione di Latimer stesso.
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(disco completo qui: )
Dopo il tour del 1981 per promuovere l'album "Nude", i Camel si disintegrano definitivamente. I tastieristi Kit Watkins e Jan Schelhaas, rimasti a fasi alterne dal 1978, se ne vanno entrambi, e lascia anche il bassista-cantante Colin Bass. Il chitarrista Andrew Latimer e il batterista Andy Ward si ritrovano per l'ennesima volta davanti al prospetto della ricostruzione, con una casa discografica sulle spalle che chiede a tutti i costi un singolo di successo.
Andy Ward, vittima della pressione e dell'abuso di droghe e alcool, non è in grado di partecipare alle incisioni del nuovo lavoro, e viene messo in panchina. Un pietoso messaggio sulla copertina del nuovo disco affermerà che è in riabilitazione dopo un incidente, ma che tornerà presto, un trucco per dargli tempo di riprendersi.
Intanto Latimer compone più o meno in solitudine una serie di tracce brevi che nei prestigiosi studi di Abbey Road dovranno essere infuse del 'fattore singolo' - arrangiamenti semplici, puliti, levigati, pop, che inaridiscono un po' anche le tracce che hanno un potenziale. Le sonorità secche e leccate che vanno bene per gli Spandau Ballet non vanno certo bene per i Camel e per i loro fan, nonostante il tentativo di dare loro un tocco più dignitoso impiegando un gruppo di validi musicisti, fra i quali predominano esponenti dell'Alan Parsons Project (il cantante-tastierista Chris Rainbow, il cantante-bassista David Paton e il tastierista Duncan Mackay), che con "The Turn of a Friendly Card" (e nuovamente il mese successivo con "Eye in the Sky") erano riusciti lì dove la casa discografica voleva riuscissero i Camel, ovvero rivendere un vecchio gruppo prog in salsa pop rock.
Numerosi gli ospiti e gli amici come l'ex-tastierista dei Camel Peter Bardens, Anthony Phillips (primo chitarrista dei Genesis), Francis Monkman (Curved Air e Sky), e batteristi come Graham Jarvis, Dave Mattacks (Fairport Convention) e Simon Phillips (Mike Oldfield, Toto).
Il disco non è malvagio: diversi sono i momenti riusciti, anche se si tratta spesso di attimi che appaiono fra le pieghe e l'altra di una tastiera anni ottanta o di una batteria dal suono inappropriato: la traccia di apertura "No easy answer", decorata come molte nell'album dai cori angelici di David Paton e Chris Rainbow, è una eccellente traccia di progressive pop post-pinkfloydiano degna dell'Alan Parsons Project. "Heroes", in cui Latimer riprende il flauto traverso e Paton, anche voce solista, il basso fretless, sarebbe potuta essere con altri arrangiamenti un piccolo capolavoro prog.
"Selva" e "Sasquatch" sono strumentali senza infamia e senza lode, così come i brevi interludi "Lullabye", "A Heart's Desire" ed "End Peace", che non si riescono a immaginare diversamente da riempitivi aggiunti per avere più tracce. Anche quando c'è un senso di potenzialità, la brevità dei brani e la mancanza di impegno nello svilupparli adeguatamente risulta evidente.
Meglio a questo punto "Manic" e "Camelogue", che soffrono a loro volta di suoni inappropriati e appaiono contratti e poco evoluti, ma almeno godono di una atmosfera sufficientemente tesa il primo e di un ottimo ritornello pop il secondo.
Al termine delle registrazioni risulta evidente che Andy Ward non è in grado di prendere parte al tour promozionale, dedicato al decimo anniversario della formazione. Latimer recluta allora a tempo pieno, oltre agli ottimi Paton e Rainbow, il batterista Stuart Tosh (ex-Alan Parsons Project ed ex-10cc) e il chitarrista Andy Dalby, riaccogliendo in formazione, per l'ultima volta, il tastierista Kit Watkins.
- Prog Fox
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