Veniva pubblicato quarant'anni fa oggi "Rage in Eden", quinto album dei pionieri della new wave e del synth pop britannico Ultravox e loro secondo album con il cantante Midge Ure. Inciso a Colonia, in Germania, con il produttore Conny Plank, il disco vide la formazione sperimentare e improvvisare maggiormente nello studio di registrazione per realizzare così uno dei loro lavori migliori.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/uehny4xc
Metabolizzato il passaggio da John Foxx a Midge Ure, e con esso quello dal glam-Postpunk alla fondazione del New Romantic con l’epocale “Vienna”, la formazione degli Ultravox oggi considerata “classica” rilascia a distanza di un solo anno il suo secondo album: “Rage in Eden”.
La ricerca di suoni nuovi tra pop, rock e musica sintetica continua, aggiungendo all’amalgama sottotesti politici orwelliani e spalmando le atmosfere melodrammatiche su tutto l’album invece di concentrarle nei brani più orecchiabili. Non ci sono brani come “Astradyne”, “Mr X” o “The Western Promise” in quest’album, gli esperimenti non sono confinati ai brani più lunghi e arditi ma anzi sono parte di ogni singolo brano.
Tra basi elettroniche sincopate e sintetizzatori affilatissimi, come quelli di “Stranger Within”, non mancano però i brani catchy, come l’uno-due iniziale di “The Voice” e “We Stand Alone”.
Risuona forte l’influenza del Bowie scary monster, nei suoni e nell’attitudine di “The Thin Wall”, ma gli Ultravox sono sempre loro, con i loro strumentali elettronici (il breve, puntuto “The Ascent”, in cui Bill Currie si diletta in un intensissimo assolo di viola) e i prototipi di rock elettronico moderno come “I Remember (Death in the Afternoon)”, con un grande assolo della chitarra di Ure.
“Accent on Youth” è l’unico brano minore, non tanto per la minore qualità, quanto per il fatto che sia una polpetta di idee e suoni già macinati dal gruppo sia in quest’album che nel precedente.
Forse “Rage in Eden” risente della mancanza di ritornelli indimenticabili come quelli di “Vienna” e “New Europeans” (per dirne due) nel precedente album: qui c’è la sola “The Voice” (peraltro “bruciata” in apertura) a fornire la stessa qualità drammatica, mentre il resto dell’album è volutamente più freddo, immerso in un chiaroscuro crepuscolare ed atmosferico.
Di certo è un album solido, divinamente arrangiato e prodotto, ricco di momenti obliqui ed affascinanti come la title track e la chiusura di “Your Name (Has Slipped my Mind)”, ballad algide e conturbanti. Di certo quest’attitudine rock non avrà lunga vita negli anni ’80 più radiofonici e commerciali, dominati da artisti ben più zuccherosi (benché talvolta anche validi, basti pensare ai Duran Duran). Le arie da intellettuale romantico non piacciono granché, i messaggi ideologici ancora meno, ma gli Ultravox non abbandoneranno né gli uni né gli altri. Le loro sperimentazioni saranno un lascito dimenticato ma ancora oggi visionario: per dire, 20 anni prima che i Radiohead lo facessero nei live di “There There”, loro chiudevano i live di “The Voice” con tutti e quattro i membri a creare complessi incastri di percussioni.
Demodé, rimossi dai discorsi sulle “grandi” band (un destino che li accomuna ad altri artisti pionieri, come per esempio gli Suede), la parabola degli Ultravox è necessaria per costruire un albero genealogico del pop/rock contemporaneo; nel caso la questione vi interessi, “Rage in Eden” è uno dei loro dischi migliori.
- Spartaco Ughi
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