sabato 11 settembre 2021

Slayer: "God Hates Us All" (2001)

11 settembre 2001, fra le varie ricorrenze di questa data, ricordiamo anche la pubblicazione di "God Hates Us All", album da studio numero otto per uno degli ensemble facenti parte dei big four del thrash metal: gli Slayer.



Il precedente "Diabolus in Musica" aveva raccolto giudizi molto contrastanti (noi ad esempio, ne parlammo moderatamente bene) per la cosiddetta svolta “modernista”, svolta che in barba alle critiche viene seguita e amplificata con questo suo successore. Il gruppo non lascia, e anzi rilancia: anche in questo caso, il rinnovamento del proprio sound resta l’obiettivo prioritario.

Del resto, il loro guru e fedele producer Rick Rubin, ossia colui che lanciò gruppi quali Beastie Boys e Red Hot Chili Peppers, è stato da sempre un innovatore, abituato a sguazzare a cavallo fra generi dalle radici più disparate. Per l’occasione, Rubin si avvale della collaborazione dell’ingegnere del suono Matt Hyde (già al lavoro con Monster Magnet), e per le registrazioni dell’album provvede a far traslocare la band dagli abituali studios hollywoodiani ai Warehouse Studios canadesi di Vancouver. Gli strumenti e i mezzi moderni permettono a Rubin e agli Slayer di godere di una produzione molto all’avanguardia, in cui l’uso delle tecnologie moderne viene sapientemente dosato per non snaturare il sound naturale frutto dell’imprescindibile retaggio ottantiano del gruppo.

L’eccellente intro "Darkness of Christ" è magistrale nell’ottenere questo risultato, un connubio di elettronica, voci filtrate mischiate al loro trademark dettato dalla ritmica in due quarti ribassata per ottenere quell’effetto lo-fi come già era stato fatto nell’intro di un loro noto pezzo, "Ghosts of War". Collegata all’intro, apre le danze l’anthemica "Disciple", un’autentica mazzata spaccaculi indirizzata stilisticamente fra la fusione del groove thrash caratteristico degli anni 90 rielaborato secondo i propri stilemi. Un pezzo da novanta che si candida seriamente a essere la migliore composizione degli Slayer della loro seconda fase artistica, ossia degli ultimi 30 anni.

Anche la seguente "God Send Death" mischia abilmente la propria canonica struttura ritmica a distorsioni e chitarre sintetizzate, offrendo un pezzo tirato e groovy al medesimo contempo. Con "New Faith" il gruppo invece esagera nel semplificare il proprio tessuto ritmico: riff innocui e ritmiche troppo pacchiane ne fanno una composizione eccessivamente sbilanciata verso uno sciatto crossover. Quello che salva il pezzo è la furiosa performance vocale di Araya “in apnea”, grazie a qualche aggiustatina da studio la sua voce risulta davvero potente e graffiante come non mai: così come in "Diabolus in Musica", lo storico leader e bassista sfodera una prova di altissimo livello, come mai aveva offerto in passato, e come non offrirà più in futuro. Fra i vari Pro a favore dell’album, possiamo dire di trovare un Araya veramente all’apice delle proprie capacità.

Fra le altre composizioni decisamente convincenti troviamo anche la poderosa "Exile" (con un Bostaph scatenato), il buon up-tempo di "Here Comes the Pain", la morbosa "Seven Faces" (che affronta l’onnipresente tematica slayeriana dei serial killer e dei lati oscuri della mente) e la furia thrash/hardcore della conclusiva "Payback", la canzone più veloce e aggressiva del lotto.

Nell’album troviamo anche "Bloodline", pezzo molto easy listening (che segue linee vocali molto da “forma canzone” classica) ma alquanto pacchiano, composto dal gruppo per la colonna sonora del filmaccio hollywoodiano "Dracula’s Legacy". Fra alti e bassi risultano godibili tutti gli altri rimanenti pezzi dell’album, in particolare il groove di "Cast Down" (in cui l’incipt si avvicina parecchio ai Machine Head di "The More Things Change…") e la potenza di "War Zone" (vicina alle ritmiche alla Cazares adottate nei Fear Factory).

God Hates Us All è nel complesso un album molto godibile e positivo, specialmente per coloro che hanno apprezzato le sonorità del predecessore lavoro, che come esso si livella su alti e bassi, e su luci e ombre.

- Supergiovane

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