È l’anno 2001, il 4 di settembre: viene pubblicato "Toxicity", secondo studio album del quartetto americano di origini armene System of a Down, un album che non ha bisogno di gran presentazioni, e che senza girarci troppo intorno possiamo tranquillamente piazzare fra i migliori dischi del millennio 2K in campo alternative/metal.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/3b555h8e)
Notoriamente sbattuti nel calderone nu-metal come uno dei bocconi più succulenti del movimento, i SOAD hanno in realtà fin dall’esordio mostrato una personalità, originalità, e un agglomerato di influenze multietniche musicali fuori dal comune, rendendo inconfondibile il loro trademark stilistico.
A più di tre anni dall’esordio, "Toxicity" non presenta deviazioni o alterazioni da quelle che sono le loro coordinate musicali, allorchè mostra piuttosto un ampliamento delle proprie soluzioni oltre a progresso nella fase compositiva, sotto la saggia supervisione del navigato producer Rick Rubin (uno dei pionieri del connubio fra sonorità rock/metal ibride), colui che li scoprì e li mise sotto contratto della propria etichetta discografica (la Def Jam American).
Le carte vincenti dell’album risiedono principalmente nelle istrioniche performance del cantante Serj Tankian e nella varietà di influenze del chitarrista Daron Malakian, la cui inflessione crossover passa attraverso groove metal, hardcore, punk, e folklore orientale della propria terra d’origine, avvicendando distorsioni decisamente pesanti ad arpeggi e melodie kashmireggianti.
L’album annovera tre dei pezzi migliori del gruppo: in testa troviamo l’anthemica "Chop Suey!" (e anche in questo caso, non c’è bisogno di tanti giri di parole nel descriverne le favolose linee vocali e chitarristiche) scelta come primo singolo del disco, la meravigliosa "Aerials" con il suo mood mistico e malinconico, oltre alla celebre title-track, il cui gioco di parole del titolo è riferito alla “tossicità” di Los Angeles fra quartieri di lusso e ghetti disagiati ad alto tasso di criminalità, un’esemplificazione dell’enorme divario socio-economico prodotto dal sistema americano.
Molti dei temi trattati dai SOAD su questo lavoro rientrano nella critica al sistema sociopolitico a stelle e strisce, il sistema carcerario viene aspramente criticato nella vigorosa opener "Prison Song" e in "Psycho", pezzo che nella sua seconda parte vanta un magistrale lavoro di chitarra di Malakian e archi di Tankian.
Non mancano certo i pezzi da pogo selvaggio quali le punkettone "Needles" e "Jet Pilot", e la bizzarra "Bounce". Sovente l’eclettico Tankian adotta vocalizzi anomali dall’indole “circense” e “cabarettistica”, una delle sue storiche e più conosciute peculiarità.
Così come nei pezzi precedentemente citati, Malakian adotta distorsioni alquanto pesanti in un altro pezzo da novanta quale l’intensa "Deer Dance", l’accattivante "Forest", e l’accoppiata "Science" e "X", due pezzi impreziositi da una serie di riff veramente azzeccati.
Degna di nota merita di esserlo anche "ATWA" (acronimo di Air, Trees, Water, Animals), pezzo dalla tematica a sfondo ambientalista, la cui melodia portante viene spezzata dal vigoroso refrain. "Shimmy" è il punto più debole dell’album, un pezzo molto diretto che però non aggiunge granchè al valore dell’album.
In chiusura, troviamo la traccia fantasma intitolata "Arto", un tributo alla travagliata epopea della popolazione armena in cui protagonista della composizione è il musicista turco/armeno Arto Tunçboyacıyan, già all’opera come guest in "Science".
Il successo dell’album fu clamoroso e immediato, in un periodo di forte transizione musicale "Toxicity" fu uno di quei pochi album capaci di mettere d’accordo tutti (o quasi), riscuotendo sia un macroscopico successo di pubblico (ad oggi, vanta più di una dozzina di milioni di copie vendute) che di critica, diventando uno dei dischi in assoluto più rappresentativi degli anni duemila.
- Supergiovane
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