mercoledì 15 settembre 2021

Band: "Cahoots" (1971)

Il 15 settembre di cinquant'anni fa usciva in Nord America "Cahoots", quarto album della Band. Il dominio di Robbie Robertson sul gruppo si faceva sempre più pressante e il gruppo rimase quattro anni senza pubblicare nuovo materiale, pur dedicandosi nel frattempo all'attività dal vivo e alle collaborazioni con l'amico-mentore di sempre Bob Dylan. "Cahoots" resta un buon disco che conferma lo status di livello assoluto della formazione canadese. Camei di lusso per il cantautore nordirlandese Van Morrison e per il compositore di New Orleans Allen Toussaint.



(disco con tracce bonus qui: https://tinyurl.com/42cmzm6t)

Dopo due capolavori assoluti come "Music from the Big Pink" e "The Band", l'ex-gruppo di accompagnamento di Bob Dylan, formato dai quattro canadesi Robbie Robertson (chitarre), Rick Danko (basso), Richard Manuel (piano) e Garth Hudson (organo, sax) e dall'americano del Sud Levon Helm (batteria), aveva inciso il discreto "Stage Fright", che segnava il progressivo impadronimento del gruppo da parte del nativo canadese Robertson, sempre più padrone delle composizioni e dell'indirizzo artistico del gruppo.

Su "Cahoots", questo processo continua, portando Robertson a comporre tutti i brani del disco a eccezione di "When I paint my masterpiece", prestata alla Band da Bob Dylan, da "4% Pantomime", completata assieme a Van Morrison, e da "Life is a Carnival", scritta a sei mani con Danko e Helm.

Robertson è figura amata e odiata, tanto all'interno della Band quanto fra i fan e i critici del gruppo: sicuramente animato da ambizione ed ego, come tutti gli accentratori di potere nei gruppi rock (da Robert Fripp a Ian Anderson), è però un autore profondo, ispirato e soprattutto prolifico, capace di supplire alla pigrizia, alle dipendenze da alcool e droghe e alla sciatteria dei suoi compagni, alcuni dei quali magari più ispirati o talentuosi, come Richard Manuel, figura tragica di talento sprecato fra vizi e abusi. Con Robertson in ruolo sempre più centrale, la Band non è più quel collettivo libertario di autori e musicisti dei primi due album, è più un gruppo di professionisti, uomini fragili tenuti insieme dalla volontà di uno solo fra loro; ma senza Robertson sarebbero andati alla deriva.

Il disco si apre con la brillante fanfara "Life is a Carnival", colorata dal complesso arrangiamento dei fiati condotto da Allen Toussaint lungo un andamento ritmico decisamente confinante con il funky, e del tutto diverso da quanto il disco offrirà in seguito. Splendida in particolare la battaglia fra l'assolo di chitarra di Robertson e i fiati di Toussaint. L'album prosegue in crescendo con "When I paint my masterpiece", ennesima perla scritta da Bob Dylan e interpretata deliziosamente da Levon Helm, che rende al meglio - come nessun canadese potrebbe - il sentimento di disagio e familiarità provocato dall'essere un americano in vacanza, o in tour, e ritrovarsi di fronte a un simbolo del dominio culturale a stelle e strisce come la Coca Cola. Splendide le liriche di Dylan, che vuole raccontare anche la prigione dell'artista che, concluso il capolavoro, non può posare il pennello ma deve provare, ancora e ancora, a firmarne uno nuovo. Qui in primo piano troviamo la geniale fisarmonica del silenzioso Garth Hudson, l'unico membro 'non cantante' del quintetto e allo stesso tempo l'arrangiatore più dotato.

"Last of the Blacksmiths", un altro pezzo eccellente, si rifa maggiormente ai primi due lavori del gruppo, con Richard Manuel in forma strepitosa alla voce e Hudson magistrale nei suoi quasi dissonanti interventi al sax. Le parole del fabbro che non ha più lavoro per la fine del cavallo come mezzo di trasporto rientrano nei temi di decadenza e sconfitta che animano tutto "Cahoots". "4% Pantomime", scritta da Robertson con Van Morrison, è un duetto tra Morrison stesso e Manuel, in cui i due entrano fin troppo nella parte dei due alcolizzati della canzone, un ruolo che per Manuel aveva già iniziato a sprigionare il potenziale autodistruttivo che gli stava risucchiando le capacità compositive e che lo avrebbe alla fine ucciso. Si tratta di uno splendido duetto, tutto incentrato sulla loro interpretazione, che fornisce un ennesimo motivo di gloria al disco.

"Shoot Out in Chinatown" è una scanzonata storia da far west ambientata nel quartiere cinese, che mette in mostra il modo in cui si intersecano fra loro le voci della Band, che nel ritornello elevano un pezzo dalla strofa per il resto molto classica; in tal senso è un po' il negativo di "Where Do We Go from Here?", che sul lato A alternava una strofa perfetta a un ritornello un po' scontato. La meravigliosa "The Moon Struck One" vede Richard Manuel esibirsi sobriamente nella composizione più malinconica del disco, che esprime nel modo più compiuto la sofferenza e la stanchezza umane tanto del suo autore Robertson quanto del suo interprete. Quasi letargica, con l'organo di Hudson in controllo dello sfondo su cui declama la voce, si accende improvvisamente nella sezione strumentale centrale, accompagnata dagli imperiosi fill di batteria di Helm.

In chiusura di disco c'è poi l'elegia di "The River Hymn", con ancora Levon Helm sugli scudi e cori superlativi che punteggiano l'ispirato crescendo della musica di Robertson, capace di accendere e spegnere i tasti delle emozioni sfruttando al meglio il potenziale messo a sua disposizione del gruppo.

Dopo i due primi album, dal livello irraggiungibile, "Cahoots" è probabilmente il migliore disco della Band. Rispetto a "Stage Fright" la scrittura è maggiormente a fuoco e ogni composizione ha qualcosa da offrire, anche se emergono per la prima volta dai cori e dagli arrangiamenti anche una certa stanchezza e un ricorso a motivi di maniera ("Thinkin' out loud", "Smoke Signal" e "Volcano" sono canzoni marginali, nonostante tutto). I pezzi più simili alle composizioni dei primi album suonano meno sinceri nell'esecuzione, mentre quelli più originali suonano meno convinti, e si portano dietro quel sapore di anni settanta che per troppi gruppi nati nel decennio precedente risulta in perdita di potenza e senso di artefazione.

Sebbene la Band sia lontanissima da certe degenerazioni del country rock presenti e successive, e dalla presto sempre più corriva e sofisticata scena di Los Angeles, "Cahoots" è disco che mostra certamente elementi di sofferenza e debolezza dei suoi esecutori. Ma forse anche in questo sta la sua grandezza.

- Prog Fox

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