Usciva cinquant'anni fa oggi "Who's Next", quinto album dei The Who, uno dei loro capolavori e per molti il loro album migliore e uno dei più importanti dischi della storia del rock. Sorto dalle ceneri del cancellato concept "Lifehouse", che doveva essere il seguito ideale di "Tommy", "Who's Next" vede il gruppo impegnato a realizzare una serie di classici immortali e incendiari del rock che descrivevano il clima di sconcerto della generazione di Woodstock dopo la sconfitta delle proprie istanze, all'alba degli anni Settanta.
(disco con tracce bonus: https://tinyurl.com/8djpsrz7)
Dopo la pubblicazione di "Tommy" (1969) e una infinita attività concertistica in giro per il mondo, compresa una memorabile partecipazione a Woodstock, gli Who decidono di imbarcarsi in un nuovo progetto concepito dal principale compositore della formazione e leader de facto, il chitarrista Pete Townshend (affiancato come sempre dal cantante Roger Daltrey, da John Entwistle al basso e a Keith Moon alla batteria).
La nuova idea di Townshend è il concept "Lifehouse", seguito ideale di "Tommy" che dovrebbe proseguire le ambizioni di spiritualismo e libertà descritte in "Tommy" e aumentare la connessione del gruppo con il loro pubblico. Per svilupparlo, Townshend matura un sacco di idee bizzarre, tra cui usare i dati degli spettatori dei concerti per realizzare un 'accordo universale' attraverso un sintetizzatore.
Il manager Kit Lambert non è per nulla convinto né contento, ma il suo impatto creativo e i suoi consigli sono grandemente limitati dalla sua nuova dipendenza dalle droghe pesanti. Così, dopo qualche tentativo fallimentare di incidere le prime canzoni di "Lifehouse", è il tecnico del suono Glyn Johns a convincere Townshend & soci di lasciar perdere il progetto e di sfruttare le numerose, belle canzoni scritte da Townshend ed Entwistle per realizzare un singolo album di rock senza fronzoli, e che è proprio quello che ci vuole per catturare lo smarrimento della generazione di Monterey e Woodstock sconfitta dall'amministrazione Nixon, dalle droghe e dalla trasformazione degli eroi della controcultura in bolse semidivinità milionarie.
Il disco si apre con la canzone più celebre dell'album, una delle più celebri degli Who, e una delle più significative del rock. Introdotta da un loop di sintetizzatori ispirato alle opere del musicista di avanguardia Terry Riley "In C" e "A rainbow in curved air", "Baba O'Riley" si svolge tutta sulla base di tre semplici power chords, ma la rabbia nella voce di Daltrey, il ritornello 'teenage wasteland', il ponte centrale cantato dalla tremolante seconda voce di Townshend, l'assolo finale di violino a opera dell'amico Dave Arbus degli East of Eden, ne fanno una delle più grandi canzoni del secondo Novecento.
Tema portante della canzone e, in modo sottointeso, di tutto il disco, è appunto lo sconcerto davanti alla fine dell'età dell'oro della controcultura, lo stesso malessere che verrà tanto bene descritto da Hunter Thompson in "Paura e disgusto a Las Vegas", e che emerge da tanta produzione dei 'sopravvissuti' dell'era di Woodstock (termine non da usare a caso, viste le morti di Brian Jones, Jim Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison).
La rabbia di Daltrey si manifesta ancora più chiaramente sulla successiva "Bargain", caratterizzata ancora dai classici power chords di Townshend e dal fondamentale contributo dell'incalzante batteria di Moon, che si esprime al meglio anche nell'interludio di sintetizzatore della parte centrale.
"Love ain't for keeping", dalle influenze country, e "Going Mobile" sono brani più leggeri, che non stonano affatto con il senso generale del disco e gli conferiscono anzi varietà. Allo stesso scopo serve "My wife", l'unica composizione del bassista John Entwistle selezionata per l'album. Come spesso gli avviene, si tratta di una grottesca storia intrisa di humor nero basata su un litigio avuto con la moglie. Cantata da Entwistle stesso, è un altro splendido brano di rock con la batteria slegata di Moon ancora in evidenza.
Meravigliose anche le ballate del disco, ovvero la malinconica, elegiaca ed epica "The Song is Over" e la successiva "Getting in Tune" con le sue influenze gospel e il favoloso basso di Entwistle (entrambe con il leggendario sessionman Nicky Hopkins al piano); e la celeberrima "Behind blue eyes" con la sua leggendaria introduzione di chitarra acustica, tutte caratterizzate da strepitosi contrasti fra piano e forte tra strofa e versi, eppure tutte diverse sia tematicamente sia musicalmente.
Conclude l'album un altro pezzo strafamoso, "Won't get fooled again". Nonostante la sua meritata fama, gli otto minuti e trenta della versione dell'album risultano un po' eccessivi vista la ripetitività tematica, e confessiamo con un po' di vergogna di preferire l'essenzialità della versione del singolo, al quale però purtroppo manca l'infinita intro di sintetizzatore.
Disco strepitoso e quasi perfetto, "Who's Next" fu immediatamente riconosciuto come un capolavoro. Meritatamente, perché lo è davvero, ed è uno dei più importanti album dell'era classica del rock e uno dei primissimi classici degli anni settanta. Fondamentale anche la pulizia, la chiarezza e la profondità dei suoni, che anche grazie al lavoro di Glyn Johns costituiranno una sorta di manuale tecnico di come si incide un disco rock nella prima metà degli anni settanta.
- Prog Fox
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