giovedì 5 agosto 2021

Ian Hunter: "Short back n sides" (1981)

Nell'agosto di quarant'anni fa vede la luce "Short back n sides", quinto album solista di Ian Hunter, meglio noto come principale voce solista dei britannici Mott the Hoople. Nel disco Hunter incide con varie formazioni, guidate rispettivamente dal fedelissimo chitarrista Mick Ronson, da Mick Jones dei Clash, dal chitarrista Todd Rundgren e dal bassista John Holbrook. I risultati mescolano il suono classico di Hunter con nuove idee provenienti dal punk eclettico dei Clash, con risultati più che buoni.



(il disco completo qui: https://tinyurl.com/4t5k6c82)

Pronto alla realizzazione di un nuovo disco, Hunter decide di mischiare le carte e lavorare con diversi gruppi creativi di musicisti. A capo di una squadra c'è il suo fido chitarrista Mick Ronson (che i più conoscono come Spider of Mars di David Bowie), mentre dell'altra c'è Mick Jones, chitarrista e seconda voce dei Clash. Ronson presiede una formazione che comprende i tastieristi George Meyer e Tommy Mandel, i bassisti Tommy Morrongiello e Martin Briley, il batterista Eric Parker e il cantante Miller Anderson (amico di una vita), mentre Mick Jones si porta dietro dall'entourage dei Clash il batterista Topper Headon, la propria ragazza corrente, cioè la cantane Ellen Foley, e il violinista Tymon Dogg, apparso su diversi dischi del gruppo.

Non è chiaro dalle note di copertine, e non abbiamo trovato traccia nelle narrazioni dell'epoca, su come Ian Hunter si sia mosso per integrare i contributi delle due parti. Ronson e Jones sono entrambi accreditati come produttori, ma non sappiamo chi abbia suonato cosa su quali brani, se Hunter abbia prima inciso l'album con Ronson e poi lo abbia speziato con le parti di Jones & soci. Non è poi così importante, dato che la cosa che conta è l'ottimo livello del risultato raggiunto.

Reduce dall'altrettanto buono "You're never alone with a schizophrenic" (1979), Hunter decide di creare un disco che mescoli brani che rientrano nelle sonorità di quel disco e composizioni con idee più innovative, e l'impressione è che il 'team Jones' sia stato cooptato soprattutto per influenzare questo secondo gruppo di canzoni.

Sebbene il disco sia abbastanza variegato e capace di inframezzare abbastanza bene i brani più classici della produzione di Hunter e quelli più sperimentali, il lato A appare maggiormente orientato alle canzoni del primo tipo e il lato B più sul secondo. C'è anche da ammettere che forse i brani più nelle corde di Hunter sono i più riusciti, ma comunque il livello medio del disco rimane elevato per tutta la sua durata.

"Central Park 'n West" apre l'album con un pezzo che ricorda le suggestioni springsteeniane presenti nel precedente "Schizophrenic", ma colorate da parte di Mick Jones tutta una gamma di discutibili suoni fastidiosi, molto datati per un ascoltatore di oggi, che per fortuna non riescono a rovinare un pezzo incalzante dal grande ritornello corale degno proprio del Boss. Notevole anche "Lisa likes rock'n'roll", pezzo che è invece pienamente influenzato dai Clash, con anche qualche influenza psychobilly/new wave nella ritmica a tratti quasi industriale.

"I need your love" vede Hunter introdurre una ulteriore variazione, mettendo al comando delle operazioni Todd Rundgren. L'eclettico chitarrista introduce il sax contralto di Gary Windo e si mette ai cori col suo tastierista Roger Powell, per un brano che ricorda molto un David Bowie in procinto di passare da "Scary Monsters" a "Let's dance", con un tocco springsteeniano specialmente nei cori e nell'assolo di sax. La struggente, deliziosa "Old records never die" gioca invece il ruolo che nel disco precedente aveva la meravigliosa "Ships", ovvero la ballata nostalgica di cui Hunter è ormai sapiente maestro, colorata dalla meravigliosa chitarra di Mick Ronson.

"Noises" è uno dei pezzi più sperimentali del lotto e chiude un lato A notevole con appena un tocco di autoindulgenza di troppo; di contro, il lato B si apre con un altro pezzo di rock romantico, "Rain", in cui Hunter gioca un po' a fare il Lou Reed di "Coney Island Baby" e un po' lo Springsteen, con risultati alquanto validi.

Il disco scende un pochino di tono con l'alternanza tra ritornello power pop e strofa reggae di "Gun Control", in cui la direzione del gioco è affidata a John Holbrook, che qui suona il basso e implementa una formazione del tutto diversa che include Mick Baraken alle chitarre e Wells Kelly alla batteria, con "Theatre of the Absurd", un altro pezzo dalle influenze reggae e ska non del tutto riuscito anche a causa dei soliti suoni discutibili da videogioco degli albori, e con l'inoffensivo power pop di "Leave me alone".

L'epos struggente alla Mott the Hoople di "Keep on burning" conclude il disco rialzando il livello, anche se non a quello del primo lato, anche a causa di un finale in crescendo quasi gospel rock che suona un po' posticcio.

Nonostante il titolo veramente imbecille del disco, ispirato al nuovo taglio corto di capelli del suo autore, Ian Hunter confeziona un'altra gemma di rock classico dalle svariate influenze. Un altro album imperdibile per gli amanti dei Mott the Hoople, ma consigliato anche a tutti gli altri amanti del rock anni settanta in particolare.

- Prog Fox

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