lunedì 30 agosto 2021

Beach Boys: "Surf's up" (1971)

Il 30 agosto del 1971 veniva pubblicato "Surf's up", per molti l'ultimo grande album della carriera dei Beach Boys. Non tutti concordano con questa visione, considerando il gruppo ormai completamente affondato dopo la crisi creativa seguita al mancato completamento del progetto "Smile". Per noi, invece, un altro grande momento di musica della formazione californiana, tra prime nostalgie degli anni Sessanta e una incarnazione sempre più profonda dello smarrimento della loro generazione.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/yjduheyv

"Surf's up", se non il migliore, è certamente uno dei dischi più onesti e personali della carriera dei Beach Boys.

La formazione californiana, nata nel 1961 per opera dei fratelli Wilson, del cugino Al Jardine e dell'amico Mike Love, ha acquisito da qualche anno i servigi del cantautore e bassista surf Bruce Johnston, per rimediare alla grave crisi personale che affligge Brian, per anni direttore musicale e principale autore e produttore del gruppo.

Quando entrano in studio per incidere "Surf's up", i Beach Boys rappresentano il primo e all'epoca massimo esempio di musicisti rock considerati 'dinosauri' risalenti a un'era musicale precedente e incapaci di stare al passo con i tempi. Sono anche considerati compromessi col 'sistema' e 'impuri', ma non si può certo dire che siano i primi a essere accusati di questo nella musica rock - a partire dalla svolta elettrica di Bob Dylan, diversi sono gli artisti accusati di svolte commerciali o di mancata purezza ideologica.

Nel clima di crisi seguito alla fine dell'era hippie, rappresentata nel biennio 1969-1971 da eventi che vanno dalla disgrazia di Altamont alle morti di Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, passando per lo scioglimento dei Beatles e l'elezione di Richard Nixon a Presidente degli Stati Uniti, i Beach Boys non sono gli unici a essere smarriti; né sono i soli a rimpiangere gli anni Sessanta, gli anni d'oro della controcultura e delle lotte per i diritti civili, e a sostituire i sogni di rivoluzione e di pace e amore con i sogni indotti da droghe sempre più pesanti.

"Surf's up", a partire dall'iconica copertina del cavaliere esausto su un cavallo altrettanto desolato, interpreta perfettamente i tempi, quanto e più dei dischi contemporanei di altri artisti in difficoltà come i Byrds e i Jefferson Airplane - anche se la consapevolezza dei Beach Boys non è in effetti superiore alla loro, gli istinti naive della formazione e fa sì che il contatto con questo senso di inadeguatezza sia più sincero; anche perché la confusione del gruppo inizia con il picco della controcultura, che solo Brian e Dennis Wilson condividevano, ma con Brian ormai recluso e assente dalla gran parte delle attività del gruppo a causa dei suoi problemi.

Il nuovo manager del gruppo, il dj Jack Rieley, viene assunto perché promette al gruppo di riuscire a renderlo di nuovo rilevante nel mondo della controcultura e fra i giovani, proprio nel momento in cui la controcultura sta uscendo di scena, seppellita dal cinismo e dalla svolta soft di tanti vecchi eroi, presto destinati ad alimentare la scena corporativa losangelina. Rieley riesce anche a farsi accreditare come autore di qualche brano e a partecipare come cantante alle incisioni, cosa che lo porta presto in contrasto con diversi membri del gruppo.

L'album vede quindi i vari Beach Boys nel tentativo di affrontare per la prima volta seriamente temi sociali quali le manifestazioni studentesche, l'ecologia e il destino del pianeta, con risultati naive, che testimoniano l'inadeguatezza e l'ingenuità con cui il gruppo le affronta. Ciò nonostante, la gran parte delle canzoni è fra le migliori degli ultimi anni, e l'album, pur se non un'opera quintessenziale del gruppo, è certamente il più riuscito dai tempi del capolavoro "Pet Sounds" (1966).

Caratterizzato da composizioni nuove scritte da quasi tutti i membri (escluse solo le canzoni di Dennis Wilson, per mantenere un equilibrio fra i fratelli Wilson e gli altri tre membri), si apre con un uno-due di livello con "Don't go near the water" di Al Jardine e Mike Love e "Long Promised Road" di Carl Wilson, scelto dal nuovo manager come nuova faccia e nuovo frontman del gruppo. Si tratta di due pezzi energici, ben suonati e ben cantati, dotati di ottime melodie e ritornelli memorabili, ottime scelte per iniziare un disco e che contribuisocno in maniera decisiva a ben predisporre l'ascoltatore.

Segue la simpatica, inoffensiva "Take a Load Off Your Feet", inclusa perché Rieley la interpretava in senso sociale quando in realtà Al Jardine aveva solo scritto una canzone sulle caviglie gonfie della moglie incinta dell'amico Gary Winfrey. I due brani che completano il lato A sono rispettivamente uno ("Disney Girls (1957)") e due ("Student Demonstration Time") gradini sotto, con la seconda, opera di Mike Love, particolarmente malriuscita nel tentativo raffazzonato di giocare al commento sociale del Beach Boy più lontano dalla controcultura, anche a causa di una discutibile parte vocale al megafono.

Sul lato B troviamo altre canzoni incredibili come "Feel Flows" di Carl Wilson, "Til I die" e "A day in the life of a tree" di Brian Wilson. Il primo di questi brani, con Carl a voce, pianoforte, organo e sintetizzatore, è un inusuale, sinuoso tema circolare, abbellito dal sax e dal flauto del jazzista Charles Lloyd, mentre tutti gli strumenti e le voci corrono spettacolarmente dietro alla propria coda e una semplice linea percussiva sorregge il materiale teamtico. "Til I die" è un esempio delle ossessioni sviluppate da Brian Wilson durante una fase depressiva: Brian ci getta a capofitto dentro al brano, in cui ancora una volta la fanno da padrone tastiere e voci. Il brano, scartato nel 1969 perché 'troppo deprimente', viene recuperato qui grazie alla nuova idea tematica dell'impegno, anche se essenzialmente tratta della crisi esistenziale del suo autore. "A day in the life of a tree", cantata con voce tremante dal manager Jack Rieley, viene sorretta da un delicato organo e un lento crescendo di voci di accompagnamento, che si armonizzano perfettamente alle liriche meditabonde che parlano del dolore di un albero che vive circondato dall'inquinamento umano.

Il culmine dell'album, riconosciuto come uno dei grandi classici dei Beach Boys, è però il pezzo finale che da il titolo all'album: "Surf's up", inizialmente pensata per l'abortito progetto "Smile" del 1966/1967, è una delle canzoni più nostalgiche dell'era del rock classico. L'arrangiamento corale della coda, dolcissimo e doloroso al punto da essere quasi insostenibile, rimane uno dei più riusciti esempi delle armonie vocali dei Beach Boys.

"Surf's up" ebbe buone recensioni e anche oggi è considerato un ottimo album dei Beach Boys di quegli anni, forse, così come pensiamo noi, il migliore di un periodo comunque difficile. Quello che rimane insoddisfacente è il valore tecnico della produzione, un po' troppo legata agli stilemi introdotti da Brian Wilson nel periodo 1965-1967. A ogni modo, Bruce Johnstone non apprezza la svolta pseudoimpegnata e il ruolo di Jack Rieley, e lascia i Beach Boys (farà ritorno nel 1979). Il resto del gruppo prosegue con un Brian Wilson sempre più assente lungo acque ancora più agitate.

- Prog Fox

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