Usciva nel luglio di quarant'anni fa il controverso, maledetto "Drama of Exile", sesto album della cantante tedesca Nico, meglio nota per la sua collaborazione con i Velvet Underground e Andy Warhol. Qui Nico tenta con successo la causa della new wave dalle influenze gotiche, genere musicale che scopre adattarsi perfettamente alle sue qualità compositive e interpretative.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/u9pk4n4s)
Quando la sua amica e autonominata manager Nadette Duget la convince a incidere un nuovo album, Nico non ha più pubblicato nulla dai tempi di "The End...", disco del 1974. Nel frattempo ha lavorato come attrice, fatto qualche concerto, tirato su il figlio Ari e si è drogata, ma non ha mai smesso di scrivere canzoni.
Immersa nella fertile atmosfera creativa del post punk e della new wave, Nico decide di rimettersi in gioco e, con una dozzina di canzoni sotto il braccio, entra in studio di registrazione con il bassista corso Philippe Quilichini, compagno di vita della sua amica Nadette. Ottenuto un anticipo e stretto un accordo verbale con la piccola casa discografica Aura, i due selezionano un piccolo nucleo di agguerriti musicisti di talento: il chitarrista Mad Sheer Khan (ovvero il franco-iraniano Muhammad Hadi), il batterista Steve Cordona, il tastierista Andy Clark (ex-Be Bop Deluxe e David Bowie) e una sezione fiati composta da J. J. Johnson alla tromba (in prestito da Wayne County and the Electric Chairs) Davey Payne al sax (da Ian Dury and the Blockheads), per quello che sarà l'unico lavoro della carriera di Nico a non vederla collaborare con l'amico ed ex-Velvet John Cale.
Non sorprenderà nessuno scoprire che la new wave gotica sia un vestito tagliato su misura per la decadente cantante tedesca.
"Gengis Khan" è un ottimo pezzo di apertura, con la chitarra ossessiva di Sheer Khan, il sax straniante di Payne, e la voce fredda e lugubra di Nico che appare del tutto a suo agio con la nervosa elettricità della new wave anni ottanta. A confronto con le successive "Purple Lips" e "One More Chance", tuttavia, sembra quasi solo un antipasto: la prima è una disperata litania funebre squarciata dalle sovraincisioni di chitarra di Sheer Khan, ora luminosa ora elegiaca, mentre le strofe sardoniche della seconda, penetrate da una chitarra spigolosa e lancinante, vengono nobilitate dal miglior ritornello di tutto l'album.
La malinconica "Sixty/Forty", colorata dalle tenui melodie di tastiera dell'indispensabile Clark, apre mestamente il lato B, che prosegue poi con le suggestioni mediorientali di "The Sphinx", in cui Nico sfrutta al meglio la conoscenza della musica mediorientale dell'eclettico Sheer Khan.
A tanti ottimi brani fanno da contraltare un paio di riempitivi, la noiosa, ripetitiva "Henry Hudson" sul lato A e "Orly Flight" sul lato B, canzoni senza infamia e senza lode di cui non si sentiva particolarmente il bisogno.
Nico decide inoltre di chiudere ciascuno dei due lati con la rivisitazione di due classici del rock, rispettivamente "I'm waiting for my man" dei Velvet Underground e "Heroes" di David Bowie. Più fedele la prima, più interessante la seconda, resa da Nico in maniera quasi parodistica. Il ritmo viene accelerato e reso dance punk alla Blondie (sembra di sentire la batteria di "Heart of Glass"), la voce di Nico è sarcastica e dissacrante, l'epica disperata dell'originale sparisce del tutto - solo la personalità di Nico poteva riuscire a realizzare una cover tanto diversa eppure riuscita.
Sebbene il disco sia uno dei suoi migliori, e la critica musicale sarà concorde nel definirlo tale, nella vita di Nico niente è mai facile. Nessuno saprà che cosa sia successo realmente nel maggio del 1981, quando la casa discografica Aura decide di pubblicare l'album senza il consenso di Nadette Duget e Philippe Quilichini. La Aura accusa i due di aver cercato di rubare i nastri delle registrazioni per rivenderli al migliore offerente. Fatto sta che la Aura butta fuori tutti dallo studio (o Nico, Nadette e Philippe ne scappano) e nel luglio del 1981 viene pubblicata la prima edizione di "Drama of Exile". Quilichini e Duget pubblicheranno nel 1983 la loro versione del lavoro - a loro dire ri-registrata completamente (con Gary Barnacle al sax in sostituzione di Payne, non più disponibile, e Thierry Matioszek al violino elettrico), mentre la Aura sostiene che si tratti solo di un nuovo missaggio con ulteriori sovraincisioni del loro materiale. A tutto questo caos Nico pare restare abbastanza indifferente, le controversie legali non la interessano, purché le arrivino i soldi dalle royalties per drogarsi. Pochi mesi dopo la controversia, muoiono prima Quilichini (overdose) e poi Duget (anoressia), gettando una ulteriore aura sinistra sul disco.
Non impeccabile o perfetto, come nulla nella carriera di Nico, l'album è a ogni modo un eccellente ritorno sulle scene per la cantante, che si mostra perfettamente padrona delle sonorità contemporanee senza venire meno alla propria visione artistica. Un album imperdibile per i fan dell'artista e di questo periodo musicale.
- Prog Fox
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