Usciva il 31 luglio di quarant'anni fa "Escape" degli americani Journey, uno dei capolavori dell'AOR anni ottanta. Celeberrimo grazie soprattutto alla super hit "Don't stop believin", è molto di più che un semplice contorno di quel brano, potendo vantare ballad spettacolari e potenti, magistrali riff di chitarra. Nel 1988, la rivista Kerrang! lo elesse al primo posto dei migliori dischi di AOR di sempre. Stessa posizione nella analoga classifica per la rivista Classic Rock nel 2008.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/29pvnke7)
A incendiare l’estate del 1981 ci pensò uno degli album in assoluto più ascoltati nelle radio, giradischi, stereo, lettori cd della popolazione nordamericana: "Escape" dei Journey.
La 'scomoda' presenza in apertura di una megahit galattica come "Don’t Stop Believin’", canzone iconica che ha segnato un’epoca e rimasta impressa nella memoria collettiva, potrebbe avere con il passare degli anni relegato nell’ombra il resto dei nove brani che compongono l’album in questione, album che è doveroso ribadire rappresenta ciò che l’adult rock oriented più pregiato e raffinato abbia potuto offrire al massimo del proprio splendore.
"Escape" è l’ottavo full lenght che va a consacrare una carriera quasi decennale già distinta da hit d’alta classifica quali "Any Way You Want It", "Lovin’, Touchin’, Squeezin’", "Wheel in the Sky" e "Lights". E oltre a essere ricordato come il lavoro di maggior successo del gruppo californiano, rappresenta per esso una sorta di spartiacque: si tratta del primo lavoro da studio privo dell’ex tastierista (e cantante nei primi tre lavori, nonché membro fondatore assieme a Neal Schon) Gregg Rolie (anche ex-membro fondatore dei Santana), il cui contributo in fase di songwriting era diventato sempre più marginale negli ultimi lavori. Il sostituto fu Jonathan Cain, polistrumentista e tastierista di gran classe che già si era ben distinto nei The Babys, il cui gusto melodico e apporto in fase compositiva diventeranno fondamentali nella definitiva transizione stilistica dei Journey. Cain resterà tastierista del gruppo e perno inamovibile per tutti gli anni della loro attività, fino ai giorni odierni.
L’album, oltre all’immortale opener "Don’t Stop Believin’", può vantare svariati singoloni quali "Stone in Love", resa memorabile dall’anthemico riff portante e dal refrain molto affabile, supportata dal pregevole lavoro ritmico e solista di Schon. La title-track e "Keep on Runnin’" alzano il tiro mostrandosi come brani frizzanti dall’irrefrenabile groove ottantiano. Molto movimentata anche "Dead or Alive", spassosissimo pezzo dall’indole boogie-woogie e potenziale grande outsider dell’album, "Lay It Down" è invece un mid tempo quasi bluesy/funkeggiante, non dissimile dallo stile su cui un gruppo come gli Aerosmith ha costruito la propria carriera.
Ed eccoci, infine, a menzionare quello che è conclamato il piatto prelibato del gruppo, le ballad: come singolo spaccacuori, immancabile in ogni retrospettiva dedicata ai Journey, troviamo la conclusiva "Open Arms", praticamente immancabile nelle esibizioni dal vivo, che fa il paio con l’altra intensa ballatona, Still They Ride, due pezzi emotivamente molto intensi in cui Steve Perry, coadiuvato dalla sua caldissima timbrica, dà sfoggio a doti interpretative di livello assoluto, che gli hanno consentito di diventare uno dei singer più amati del genere da parte del grande pubblico.
Atmosfere soffuse e malinconiche contraddistinguono Who’s Crying Now, impreziosita dalla solita impeccabile fervente interpretazione di Perry, dai sontuosi inserti tastieristici di Cain e da un lungo assolo finale da blues sofferto di Schon. Anche quest’ultima canzone divenne immediatamente un grande classico, e il fatto che venne scelta come singolo di lancio dell’album dimostra quanto il gruppo ci puntò sopra. A completare la tracklist troviamo Mother, Father, ennesimo pezzo di grande eleganza e raffinatezza che mette il risalto sottili venature prog, a cui si può rimproverare solamente di somigliare vagamente nelle linee vocali e nelle note iniziali a Wild Word di Cat Stevens.
Escape, assieme al successivo Frontiers, rappresenta la massima espressione artistica di un gruppo in stato di grazia, un capolavoro intramontabile e seminale dell’AOR, quando ancora ai tempi miscelare rock ricercato e pop patinato potesse produrre risultati di tale valore artistico.
- Supergiovane
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