domenica 11 luglio 2021

Fair to Midland: "Arrows and Anchors" (2011)

Dieci anni fa oggi usciva "Arrows and Anchors", quarto e ultimo disco dei prog rocker texani Fair To Midland, gruppo protagonista di due album bellissimi a cavallo del 2010 e poi scomparso completamente, nonostante il talento e l'apprezzamento della critica, e ingiustamente dimenticato.



(album completo qui: https://tinyurl.com/y65v245p)

11 Luglio 2011, i texani Fair to Midland pubblicano il loro quarto album da studio, "Arrows & Anchors". Il gruppo, sotto l’ala protettrice di Serj Tankian (System of a Down), che li scoprì casualmente e li scritturò immediatamente per la propria etichetta discografica, salì alla ribalta quattro anni prima grazie all’osannata precedente pubblicazione, "Fables from a Mayfly", album che racchiudeva principalmente riedizioni dei pezzi composti per i primi due lavori autoprodotti e distribuiti con tiratura limitatissima.

Chiamati alla prova del fuoco, i Fair to Midland non falliscono e se ne escono con un album di altissimo livello, più accattivante, più diretto, più sfaccettato, più raffinato, per molti versi migliore del già ottimo predecessore.

Se la componente prog (una loro personalissima versione del prog) che li contraddistingueva viene qua smorzata, ne guadagna l’immediatezza dei pezzi, tanto curati nel songwriting quanto vari e longevi nelle loro molteplici sfaccettature, sospese fra un’indole alternative modernissima fra distorsioni metalliche e infiltrazioni prog rock, post rock, shoegaze che hanno attraversato le decadi passate.

L’organo dell’intro "Heavens to Murgatroyd" apre le danze spianando la strada al groove pazzesco della trascinante "Whiskey & Ritalin", seguita a ruota dalla favolosa "Musical Chairs" (scelta come singolo di lancio dell’album) forte del suo arraggiamento sfarzoso e delle sublimi linee vocali ad opera del frontman Darroh Sudderth, un singer decisamente originale e sui generis. Una doppietta iniziale d’alta scuola. E non è da meno nemmeno la seguente "Uh-Oh", anch’essa in possesso di ritmiche, melodie e refrain molto appetibili.

Con "Amarillo Sleeps on my Pillow", ennesima canzone memorabile dell’album, il gruppo mescola quel folk americano viscerale coltivato attorno alle rive sud del Mississippi alle sonorità alternative forgiate fra gli anni 90 e i primi 2000; anche in questo caso Sudderth, impegnato oltre che dietro al microfono anche nel suonare il banjo, offre soluzioni vocali decisamente ricercate, che ne fanno poi una delle maggiori peculiarità dei Fair to Midland.

Impossibile comunque trovare qualche pezzo non all’altezza, anche una composizione più canonica come "A Loophole in a Limbo" riesce a farsi apprezzare per la sua trascinante melodia. Non mancano nemmeno i pezzi più vicini alle sonorità fiabesche dei primi lavori, come nel caso di "Bright Bulbs & Sharp Tools", oppure come nella sognante "Short-Haired Tornado", la quale strizza l’occhio a quella corrente di prog/post/rock alternativo dei Dredg. L’alternative alla A Perfect Circle si palesa invece nell’ottima "Golden Parachutes", molto catchy e armoniosa, e nella strumentale (con vocalizzi in background) "Three Foolproof Ways to Buy the Farm".

Nella bizzarra "Rikki Tikki Tavi" il gruppo mette in atto sperimentazioni alla System of a Down (in Hypnotized/Paralyzed) avvicendando bordate di metal estremo a melodie art rock dal gusto retrò, mentre in Coppertank Island viene le proprie sonorità incrociano quelle della new wave e pop elettronico della scena britannica anni ottanta.

A chiudere l’album provvede una meravigliosa ballatona quale "The Greener Grass", dove gli arraggiamenti ariosi e la poetica derivata dai loro testi ermetici e fantasiosi si confermano fra le più spiccate peculiarità dell’attitudine compositiva del gruppo, catalizzata dalla saggia guida del nuovo producer Joe Barresi (Bad Religion, Queen of the Stone Age, Coheed and Cambria, fra i tanti, oltre a vari progetti di Mike Patton e Maynard Keenan).

"Arrows & Anchors" ricevette consensi entusiastici pressoché all’unanimità da parte della critica, destando ulteriore interesse da parte di una nutrita fetta di pubblico e consolidando lo status del gruppo in “next big thing” in ambito alternative.

L’inizio di una grandissima e nobile carriera? Nemmeno per sogno. Da lì a non molto tempo, il gruppo interruppe l’attività, sparendo dai radar, rendendo i membri della band disoccupati (ognuno è letteralmente scomparso, tarpando la propria carriera di musicista) e lasciando scemare l’entusiasmo che si era formato attorno a loro.

Il nome dei Fair to Midland cadrà a breve nel dimenticatoio nell’immediato futuro. Le cause di ciò sono sconosciute. Attraverso qualche breve comunicato sui social, alcuni membri faranno allusione alle enormi spese economiche che fuori dal circuito mainstream un gruppo debba sostenere per campare, e a debiti accumulati nel corso degli ultimi anni (a cui c’è da aggiungere un incidente stradale durante un tour che oltre a ferire il bassista Jon Dicken distrusse la loro intera attrezzatura). La loro ultima data dal vivo risale alla primavera del 2013.

Questa recensione è dedicata a tutti quei musicisti squattrinati: quando nei momenti di sconforto vi sentite sfigati, inutili, inconcludenti, non valorizzati e poco considerati, pensate ai Fair to Midland, autori di uno dei migliori album degli anni 2000, dileguatisi nelle nebbie del tempo con la stessa rapidità con cui, per un brevissimo periodo, salirono alla ribalta.

- Supergiovane

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