sabato 5 giugno 2021

Radiohead: "Amnesiac"

"Secondo te meglio Amnesiac o Kid A?" Questioni di cuore, vent'anni fa, quando il 5 giugno del 2001 esce "Amnesiac", quinto album in studio dei Radiohead. "Ma come, pubblicano una collezione di B-sides?" "No, questo è anche meglio di Kid A!"



(il disco completo qui --> https://tinyurl.com/eusky7kr

In tempi confusi come questo, la rincorsa verso la grande semplificazione è quanto mai rassicurante. Ad ogni cosa deve essere apposta una precisa etichetta e una voce di catalogo, proprio per anestetizzarla e renderla più digeribile ai pochi neuroni che ormai la massa riserva al pensiero critico.
Viviamo in epoche in cui il manierismo e la riproposizione edulcorata (e resa innocua) di cose trite e ritrite passa per rinascita e riscoperta del rock: purchè se ne parli tutto conta, dice qualcuno. Dimenticandosi che la marcia da inserire è quella che fa andare avanti, non quella che fa arretrare.

Il preambolo, certamente degno di essere illustrato da "vecchio che urla alle nuvole.gif", è perchè "rivoluzione" è stata una delle parole più associate ai Radiohead e alla coppia di album post "Ok Computer": "KID A" e il qui raccontato "Amnesiac"
Doppio parto gemellare, data la sostanziale continuità che si riscontra tra le due opere: due atti di uno stesso spettacolo.

E quindi, sì, "rivoluzione": ma con ironia e distacco.

"After years of waiting / nothing came": tanto rumore per nulla? "I'm a reasonable man/ Get off my case": cosa volete da me, lasciatemi in pace.

E' l'inizio di "Packt Like Sardines In A Crushd Tin Box": che, in realtà, è tutt'altro che un brano pacificato e ci scaraventa subito in pieno martellamento nichilista. La vanità del tutto, il rendersi conto che alla fine poco rimane.
Se c'era un modo di iniziare le danze mettendo in chiaro il ballo scelto, se c'era bisogno di una dichiarazione di intenti: eccoci serviti.
Siamo ancora nella piena continuità stilistica di "KID A", ma - ecco - le carte del mazzo sono ancora tutte da servire. E "Pyramid Song" dà sicuramente un valore non irrisorio alla mano giocata.
Sicuramente un classico immediato nella produzione di Yorke e soci: nasce con un tempo strano scandito dal pianoforte e prosegue fino ad un dilatarsi onirico della melodia che asseconda un testo costruito da tagli di immagini nettissime ma al tempo stesso sfibrate. "Nothing to fear / Nothing to doubt": una formale rassicurazione a sé stessi, quanto mai inquieta e lancinante. Quasi un "There Is No Alternative" sussurrato con la consapevolezza di essere in piena rotta di collisione con la realtà.
"Pulk/Pull Revolving Doors" è un frullatore di passaggio, asettico e meccanico nella forma ma anche esso fondamentalmente nevrotico nella sostanza.
La sequenza iniziale si chiude con "You And Whose Army?" che è davvero straordinaria: parte dissonante e stonata, con un testo passivo-aggressivo degno della migliore analisi psicanalitica e termina aprendosi in uno sfavillante coro beatlesiano.

Fine della prima sezione del disco e quello ascoltato potrebbe già essere sufficiente.
La sequenza successiva, infatti, è per altro piuttosto uniforme e forse più canonica.
Spiccano la grinta del beat insisito di "I Might Be Wrong" e le atmosfere dark e piovose di "Dollars And Cents", mentre "Knives Out" resta un po' sospesa e convince soprattutto per il solito testo sbilenco più che per la stuttura melodica in sè.
Poco aggiungono, invece, la rivistazione di "Morning Bell" (che già su "KID A" era un brano secondario, non si vedeva sinceramente la necessità di dargli una seconda chanche) e il divertimento per chitarra e distorsore di "Hunting Bears", catalogabile subito tra quei riempitivi di cui sfugge il senso compiuto.

A riprendere il filo del discorso e a riportarlo al livello qualitativo della prima parte ci pensano i due episodi finali.
"Spinning Plates" è un trucco di magia perfettamente riuscito: il tema è come nascondere un brano pazzesco (che risulterà tale soprattutto nella versione nuda, live) sotto una coltre di nuvole e fartelo scoprire ascolto dopo ascolto. E' come togliere piano piano la buccia di un frutto e arrivare solo col tempo alla polpa. All'inizio si resta perplessi dal nastro suonato al contrario, dalla voce non intellegibile, dalla trama sonora che viene spezzata: ma poi il tutto arriva e penetra diritto nel cuore e nella testa.
"Life in The Glasshouse" è più immediata e facilmente fruibile: Yorke cita sgangherate orchestrine jazz e i Radiohead fanno spazio a trombe e tromboni. Il brano è straordinario, ovviamente; chiude meravigliosamente il disco e apre alle riflessioni.

Torniamo all'inizio, al tema delle rivoluzioni vere, finte o presunte.
Su "KID A" ci eravamo già espressi, trovando il suo valore proprio nella gestione della discontinuità: superficiale e di maniera per alcuni, ma innegabilmente riuscita e di valore anche proprio perché nata in un ben preciso alveo e in un ben preciso percorso.
"Amnesiac" è un atto secondo, ma non secondario: riesce a completare il discorso, spingendo anzi l'acceleratore in alcuni punti, punti puramente "Radiohead", soprattutto nei testi e nella prima sequenza di brani.

Con "Amnesiac" si chiude, ad ogni modo, un esperimento coerentemente condotto e perfettamente riuscito: un sentiero diverso (non necessariamente nuovo) è stato percorso e esplorato in ogni angolo.
Si potrebbe dire superficialmente e scaltramente (di tempi confusi e superficiali si parlava, infatti in apertura). Noi pensiamo invece che la strada sia stata battuta con la giusta sincerità, il talento e con il proprio (ossessionato e irrequieto) passo.

- il Compagno Folagra

Nessun commento:

Posta un commento

ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO:   #  --  A  --  B  --  C  --  D  --  E  --  F  --  G  --  H  --  I  --  J  --  K  --  L  --  M  --  N  --  ...