26 Giugno 2001, viene pubblicato Horror Show, sesto lavoro da studio per gli americani Iced Earth, all’epoca il gruppo di punta della scena heavy metal a stelle e strisce. Un album che conferma l’ottimo stato di salute del gruppo, nonostante qualche cedimento e alcuni pezzi non propriamente esaltanti, e probabilmente ultimo grande classico della carriera degli Iced Earth.
L’intento del gruppo, o meglio del proprio mastermind John Schaffer, era quello di riprendere il discorso da dove si era concluso il precedente album, il fortunato Something Wicked This Way Comes, allestendo un concept basato sulla creatura di loro concezione Set Abominae (la propria mascotte, come Eddie per gli Iron Maiden), su cui erano incentrati gli ultimi tre pezzi.
La casa discografica però non fu propriamente entusiasta dell’idea di Schaffer di buttarsi su un concept originale, cosicchè quest’ultimo resettò i propri progetti e concepì ex novo Horror Show, album incentrato su un più convenzionale tributo ai più famosi personaggi della letteratura e cinematografia horror. Un’operazione che sulla carta sarebbe potuta diventare una pacchianata tremenda, ma che gli Iced Earth sono comunque riusciti a tramutare in un album di tutto rispetto, anche se nel complesso non così valido come ci avevano abituato nel recente passato.
Tre anni esatti è il lasso di tempo trascorso fra Something Wicked This Way Comes e Horror Show, tempo in cui la band, oltre alla gestazione del nuovo disco, è stata impegnata in lunghi e trionfali tour (da cui è stato estrapolato il celebre disco dal vivo Alive in Athens), e in cui Schaffer ha dedicato tempo al suo progetto parallelo Demons & Wizards con Hansi Kürsch.
La formazione del gruppo, storicamente instabile, o meglio dire intercambiabile (dalla loro fondazione, si sono avvicendati oltre trenta membri), vede l’ingresso di due pezzi da 90: in uscita dai Control Denied, vengono ingaggiati Steve DiGiorgio al basso e Richard Christy alla batteria, mentre alla seconda chitarra viene confermato e promosso quale membro effettivo Larry Tarnowski. A questi tre membri del cast di supporto, ovviamente si aggiunge il confermatissimo Matt Barlow dietro il microfono. Con un Schaffer un po’ meno convincente del solito in fase compositiva, la sua prestazione lungo l’arco dell’album sarà il vero perno su cui esso verterà. Confermatissimo anche Jim Morris nelle vesti di produttore del lavoro, e come autore dell’artwork ritroviamo Travis Smith, ai tempi all’apice della propria ascesa professionale.
Ad aprire le danze provvede Wolf, canzone ispirata all’iconico personaggio dell’uomo lupo, pezzo gradevole e dall’impatto immediato, che però mette subito in risalto come il gruppo sembra voglia accontentarsi di riciclare e riproporre una soluzione musicale fin troppo convenzionale.
Niente paura, perché con la successiva Damien ci troviamo di fronte a un masterpiece assoluto. Ispirata al film a tema demoniaco/paranormale/psicologico ad alta (anzi, altissima) tensione The Omen (conosciuto in Italia come Il Presagio), questa composizione raggiunge appieno lo scopo che il gruppo si è prefisso, ossia sfoderare un poderoso heavy/thrash dal climax cinematografico. Damien possiede tutte le caratteristiche per ricavare ciò. Un intro corale che funge come overture, arpeggi evocativi dall’indole sinistra, rocciosi riff su mid tempo cadenzato, break e progressioni strumentali, intermezzi recitati (in tal frangente, una Rime of the Ancient Mariner ha fatto scuola), cori backing vocals sovrapposte (spesso utilizzate in altri pezzi di questo album) a opera di un Matt Barlow che in questo pezzo sfodera una performance letteralmente mostruosa. Nell’outro troviamo accompagnato da sinistre note di pianoforte l’effetto voice-reverse della strofa recitata nel break centrale, soluzione giò adottata sempre dai sempre seminali Iron Maiden nell’intro della loro Still Life. Quasi dieci minuti di grandissimo heavy metal, a mani basse il miglior pezzo del disco, nonché uno dei più memorabili dell’intera carriera.
Segue Jack, ispirata al noto serial killer londinese, solido up-tempo contraddistinto da un ottimo lavoro di riffing di Schaffer e dotata di un refrain molto convincente. Anche in questo caso, come spesso ci hanno abituato gli Iced Earth, a spezzare la durezza delle composizioni troviamo break arpeggiati dall’atmosfera plumbea con linee vocali in modalità narrante, seguiti da fulminee ripartenze. Stesso discorso che possiamo tranquillamente fare per Jeckill & Hyde, il pezzo più duro e veloce del lotto.
Alla monster-parade si uniscono altri personaggi storici della filmografia anni 30/40/50, quali la Mummia, protagonista di Im-Ho-Tep (Pharaoh's Curse) e il Mostro della laguna nera, presente in Dragon’s Child, pezzi sottotono che sanno molto di opere da mestieranti. L’amara ballad Ghost of Freedom è l’unica composizione che vede un protagonista inedito concepito dall’immaginario di Barlow. Pezzo godibile ma nulla di più, e che soffre terribilmente il raffronto con le altre power/metal/ballad della band composte nel passato recente.
Transylvania, unica traccia strumentale, altro non è che la cover degli Iron Maiden presente sul loro debutto. Pressochè identica alla versione originale, il pezzo in questione non aggiunge e non toglie nulla all’album, è semplicemente un tributo al gruppo di Steve Harris e Bruce Dickinson, che torneranno a omaggiare l’anno seguente con l’album di sole cover Tribute to Gods.
Naturalmente non possono mancare composizioni dedicate ai personaggi letterari e cinematografici più celebri, ed ecco che verso la chiusura troviamo Frankenstein, solido mid-tempo piuttosto accattivante, e Dracula, ispirata fondamentalmente non tanto dal romanzo di Bram Stoker ma piuttosto dalla versione del film di Francis Ford Coppola che rivisita la figura del conte Vlad in chiave romantico-gotica. Il pezzo si apre con atmosfere melodiose/plumbee per poi sfociare in una cavalcata di stampo power metal teutonico (e qui, la recente esperienza con Hansi Kürsch si sente tutta).
Chiude in bellezza The Phantom Opera Ghost, altro pezzo costruito sull’avvicendamento fra momenti melodici e sfuriate power/thrash; Barlow, sempre in gran spolvero, recita la parte di Eric duettando con la cantante Yunhui Percifield nel ruolo di Christine.
Un album che conferma l’ottimo stato di salute del gruppo, nonostante qualche cedimento e alcuni pezzi non propriamente esaltanti. Da qui, seguirà l’abbandono di Barlow dalle scene musicali, e nonostante l’ingaggio di un rimpiazzo prestigioso quale Tim “Ripper” Owens in uscita dai Judas Priest per sostituirlo, il gruppo comincerà a perdere la bussola, causa soprattutto un declino di Schaffer in termini di ispirazione compositiva. Nemmeno il provvisorio ritorno di Barlow alcuni anni più tardi, e nemmeno l’ingaggio seguente di un singer talentuoso come Stu Block riusciranno a rimettere in carreggiata il gruppo. Inattivi da tre anni, Jon Schaffer ha molto probabilmente deposto la pietra tombale sugli Iced Earth dopo la sua nefasta partecipazione ai fatti di Capitol Hill.
- Supergiovane
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