sabato 15 maggio 2021

Tool: "Lateralus" (2001)

Usciva vent'anni fa oggi "Lateralus", terzo album ed ennesimo capolavoro del gruppo metal alternativo/progressivo più di culto che ci sia, ovvero i TOOL.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/mxvf6ets)

Si potrebbe approcciarsi a "Lateralus" dei Tool in modo puramente asettico. Misurandolo nota per nota, prendendo atto della matematica dei tempi, delle spirali e dei vortici.
Sarebbe sicuramente un piacere gratificante dal punto di vista puramente intellettuale. Certo: Fibonacci. Certo: l'evoluzione del progressive e i tempi dispari e inconsueti, che si perdono e si ritrovano per incanto.

Gratificante, ma sarebbe come (si conceda il parallelo) osservare il Guernica di Picasso e mettersi a misurare la distanza tra il naso del cavallo e il braccio dell'uomo morente, beandosi delle proporzioni atipiche e della sovrapposizione metafisica dei piani senza magari cogliere quello che l'opera in realtà nasce per rappresentare: ovverosia una narrazione di dolore, di trasfigurazione, di umana sofferenza.

Ecco: fortunatamente l'urlo munchiano che ci sorprende in chiusura della spettacolare "The Grudge" ha lo scopo di sciogliere subito ogni equivoco.
A Keenan e soci poco importa del numero di quarti di cui è composta una loro misura. Hanno trovato questa strada, quella della sublime perfezione tecnica, per strappare la pelle al mostro e dilaniarne le carni.
Questo mezzo, lungi da essere puro virtuosismo, ha un chiaro e ben raggiunto fine.
Della mente umana, dei suoi inviluppi e la sua animalesca razionalità. Della bestia che dorme silenziosa sotto la geometria del pensiero cosciente. Di questo si vuole raccontare.

Dopo l'urlo, arriva la pace che si trova nei mantra ("Eon Blue Apocalypse/The Patient/Mantra"): ma è un equilibrio instabile e la simmetria si spezza.
"Schism" ci parla in maniera apocalittica di frammenti di pensiero allucinato, di ricomposizioni vane, dell'impossibilità di ogni comprensione tra individui ("supposed lovers"). La chiusura del brano è un circolo di fuoco, epilettico e tribale e questo sabba è il tripudio assoluto della migliore sezione ritimca della musica di questi anni, Carey e Chancellor.
"Parabol/Parabola" è l'apoteosi del giano bifronte cantato da Keenan: le due parti del brano si contrappongono e si fondono in un passaggio di incredibile maestria. Anche in questo caso, il mantra iniziato da Keenan si trasfigura in una poderosa cavalcata in cui viene di nuovo urlato il dolore dell'umana esistenza. Il corpo è un contenitore, limita e convoglia la sofferenza. Ma è anche la testimonianza fisica della vita stessa, dell'essere qui e ora "alive and breathing".

Non ci sono tregue: "Thicks and Leeches" aumenta, anzi, il tasso di claustrofibica ossessione in cui ci avvolgono i Tool.
Il brano è uno dei più impervi e concitati dal punto di vista ritmico e vocale (tanto da essere difficilmente proposto dal vivo) ed è forse la vetta adrenalinica e di pura potenza metallica del disco.
Non che successiva la title track sia meno poderosa: ma i sentieri percorsi dal brano sono più convenzionali, se così si può dire.
Mentre "Thicks and Leeches" era il trionfo della sezione ritmica, "Lateralus" dà invece ampio spazio alle invenzioni di Adam Jones, ai riff e alle sue multiformi linee di chitarra.
E, ovviamente, al sangue e al sudore di Keenan, trasmesso in ogni nota cantata ed in ogni suo respiro.

"Disposition" funge da momentaneo attimo di decompressione onirica che apre al lungo trip ipnotico di "Reflection", brano in cui i Tool fanno convergere tribalismo, metallo urlante (Adam Jones pesta ancora duro), psichedelia.

Tutto si tiene, tutto si scompone: c'è ancora il tempo per un canonico richiamo ("Triad") al più classico armamentario delle potenzialità delle percussioni e delle progressioni prese direttamente dalla migliore cassetta degli attrezzi (...absit iniuria), seguito da una conclusiva bizzaria da sala di incisione ("Faaip de Oiad")
Il viaggio termina.
Così come quando abbiamo osservato il Guernica di Picasso, così anche ora abbiamo dimenticato la tecnica, la natura materiale dell'opera d'arte. Abbiamo usato quello che vedevamo (ascoltavamo) per rivolgere l'occhio (l'orecchio) verso noi stessi, verso la nostra anima. Verso l'orrore, ma anche verso la consapevolezza della possibilità di trascendenza e di quiete che il contemplare la spirale dell'intelletto e la geometria della realtà ci offre.
Prima che l'urlo arrivi per scomporre e ricomporre tutto, in forme nuove e sconosciute.

- il Compagno Folagra

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