Usciva trent'anni fa oggi "Gish", il debutto sulla lunga distanza degli Smashing Pumpkins, uno dei gruppi fondamentali dell'era grunge. Prodotto da un ancora sconosciuto Butch Vig, batterista dei Garbage presto riconosciuto come uno dei maggiori artefici del sound del grunge grazie ai lavori con Pumpkins e Nirvana, insegue le elaborate fantasie musicali del cantante-chitarrista-autore Billy Corgan e dei suoi soci (James Iha alla chitarra, D'Arcy Wretzky al basso, Jimmy Chamberlin alla batteria), più barocche di quelle dei compagni di genere ma non per questo meno immediate e urgenti.
(il disco in versione estesa deluxe qui: https://tinyurl.com/pvvhzxzx)
Prima della festa barocca delle chitarre di Siamese Dream, prima della elefantiasi compositiva di Mellon Collie, prima della oscura pioggia di mezza stagione narrata in quel capolavoro strano che è Adore. Prima dell'ultimo giro di danza degno di essere quantomeno accennato, "Machina/The Machines of God".
Prima di tutto questo, nella storia degli Smashing Pumpkins, c'e' stato "Gish".
Ovverosia: c'è stato quell'attimo che si vorrebbe durasse per sempre, nel cuore di una band: quello in cui le cose da dire sono tante e, sopra ogni cosa, il modo in cui si riesce a dirle diventa immediatamente, per chi ascolta, necessità.
Ecco: nel 1991 gli Smashing Pumpkins di Gish sono un bene di prima necessità.
Ovviamente è fondamentale che i territori emotivi esplorati dai dolori del giovane Corgan non siano altro che la continuazione del mistero della adolescenza dell'ascoltatore, con altri mezzi.
Ma in quelle ingenue tempeste strabordanti, in bilico tra autoaffermazione grottesca e nichilismo da diario di liceo ("I Am One" da una parte e "All that you suffer is all that you are" dall'altra), c'è anche uno sbocco fondamentale di parte della musica alternativa del periodo.
Non è da tutti, infatti, esordire con un lavoro che ha il coraggio di percorrere anche strade meno immediate e dirette.
"I Am One"/"Siva", è vero, costituiscono una accoppiata di benvenuto notevole, ma come non stupirsi quando ai riff e alle martellate in cassa iniziali - memorabili e subito classiche ma tutto sommato attese - si affiancano le melodie dilatate e assorte di "Rhinoceros"?
Corgan dimostra da subito di sapere, forse in modo inconsapevole e viscerale, che la sua band ha un destino diverso dalle altre: nei momenti migliori, che non saranno pochi, i Pumpkins saranno un meraviglioso frullatore di derivazioni e ispirazioni.
Lo si vedrà in modo quanto mai clamoroso nel dipanarsi delle 50 tracce del progetto Mellon Collie ma anche Gish è in questo senso camaleontico e eclettico.
Le montagne russe emotive del disco sono molteplici: il passare dall'energia di "Bury Me" alla dilatata sequenza centrale, "Crush"/"Suffer"/"Snail"/"Tristessa"/"Window Paine" è un esempio di cosa Corgan ha in cantiere.
"Crush" in particolare è un vertice compositivo, che un primo ascolto derubricherebbe a semplice torch song adolescenziale, ma che in realtà regala una delle migliori melodie corganiane di sempre in cui il memorabile passaggio cardine ("And I wonder/ If it matters to me / Love comes in colors/ I can't deny") è incrociato con una linea di basso psichedelicamente ritmata da percussioni semplici ma quasi ipnotiche nell'incedere.
"Daydream" è infine la magia che si compie, il ritorno eterno al cuore ("The love I share / true / selfish to the heart / My heart, my sacred heart") e l'apertura alle mille promesse che si compieranno in mille modi diversi.
I Pumpkins quindi ci congedano e chiudono questo loro primo sipario; questo primo giro di pista ha perfettamente mostrato cosa si nasconde sotto i sette veli della band di Chicagoe e l'attesa per quello che verrà è alta.
"I'm going crazy" recita Billy nella coda di "Daydream" e noi, lo possiamo facilmente prevedere, saremo ripagati dalla sua prolifica e avvincente follia creativa.
- il Compagno Folagra
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