Usciva dieci anni fa oggi "A Scarcity of Miracles", album a firma Jakko Jakszyk (voce, chitarre), Mel Collins (sax, flauto) e Robert Fripp (chitarre), che dopo l'incisione dell'album avrebbero ricostituito per l'ennesima volta i King Crimson. Fatta pace con la propria discografia degli anni settanta, che aveva pubblicamente disprezzato per decenni, Fripp insegue un suono che sia una maggiore sintesi dei vari periodi della sua creatura, con l'aiuto anche del solito compagno Tony Levin al basso e di Gavin Harrison alla batteria.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/2twr6z6z
Se il rock fosse una Spy Story, Robert Fripp sarebbe uno di quei personaggi enigmatici sempre presenti nei luoghi e nei momenti in cui qualcosa di inaspettato succede. Chitarrista e, molto presto, padre-padrone dei King Crimson, padri fondatori del rock progressivo e continui, instancabili innovatori dell’art-rock tutto; compagno di merende di Brian Eno, sia con la doppia ragione sociale che come turnista negli album dell’inventore dell’ambient music, e grazie a lui presente in vari album di David Bowie (“Heroes”, ovviamente, ma anche “Scary Monsters”, entrambi dischi fondamentali nella carriera del Duca Bianco e nell’evoluzione del rock nell’era post-punk) e Talking Heads, tra gli altri. Fino ad oggi, in cui con la moglie Toyah ha cominciato durante i mesi della pandemia a pubblicare video di cover rock e metal sempre più fuori di melone (vedere per credere); in mezzo altre cose dall’impatto meno evidente, ma comunque profondo, come le successive incarnazioni del Re Cremisi, e i vari progetti paralleli con gli stuoli di collaboratori e pupilli messi insieme nel corso degli anni.
“A Scarcity of Miracles” è uno di questi “ProjeKcts”, nato dalle sessioni di Fripp e Jakko Jakszyk, chitarrista virtuoso e cantante, turnista in diversi gruppi inclusa la “21st Century Schozoid Band”, cover band che radunava diversi ex membri delle prime formazioni dei KC (da Ian McDonald a Ian Wallace) per riproporne i lavori degli anni ’70. I soundscape registrati nello studio di Jakszyk vennero poi ripresi e lavorati da quest’ultimo per strutturarli in canzoni propriamente dette; successivamente Mel Collins, anch’egli ex KC, ha “riempito i vuoti” col suo sassofono, e Tony Levin e Gavin Harrison vi hanno infine aggiunto una sezione ritmica, in un processo di registrazione completamente ribaltato rispetto agli usi e costumi della musica rock.
Il risultato sono sei brani di ambient-jazz-pop-rock, tanto accattivanti e atmosferici quanto eccessivamente omogenei e, purtroppo, monotoni. La title track in apertura detta il ritmo dell’album, letteralmente: ritmi calmi e larghi, atmosfere conturbanti e malinconiche, e il sassofono di Collins ad illuminare con melodie sempre inaspettate ma raramente incisive. Si va e si viene tra coordinate più rock (“The Other Man”, che suona davvero adiacente ai Porcupine Tree post-“In Absentia”) o più pop (“The Price We Pay, migliore canzone del lotto almeno a livello di memorabilità), ma soprattutto più ambient (“Secrets”, il canto simil-gregoriano della conclusiva “The Light of Day”, “This House”) senza che nulla sia fastidioso, e nemmeno noioso, ma senza che nullariesca a conquistare un posto nella memoria, con la sola possibile eccezione del climax di “The Price We Pay”. L’aggiunta della sezione ritmica come ultimo passaggio della produzione impedisce che le canzoni possano avere qualsiasi tiro, lasciandole leggermente anemiche; il songwriting di Jakszyk non è un collante sufficiente a tenere insieme i pezzi, e del resto anche nella “Heroes” Bowie-ana (sul cui songwriting non si può eccepire più di tanto, diciamo) c’erano voluti Tony Visconti e Eno per integrare le improvvisazioni di Fripp in una maniera che desse vita all’amalgama.
“A Scarcity of Miracles” è ben lontano dall’essere un disco mediocre, eppure è difficile immaginarlo nella Hornbyana lista dei dischi preferiti di chicchessia, eccetto forse di Jakszyk stesso. Oltre alla curiosità per un album per molti versi anticonvenzionale, allora, rimane solo la motivazione storica per ascoltare questi sei pezzi: i cinque musicisti impegnati su questi solchi confluiranno due anni dopo nell’ennesima reincarnazione dei King Crimson propriamente detti, e ne costituiscono tuttora l’ossatura. Restiamo nell’attesa che questa formazione rilasci un nuovo album con la bandiera della casa madre.
- Spartaco Ughi
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