Il 10 maggio di dieci anni fa veniva pubblicato il buonissimo "I am very far", album degli americani Okkervil River, il cui suono maggiormente mainstream asseconda le necessità di lasciarsi alle spalle le varie permutazioni di "Black Sheep Boy" presenti nei due dischi precedenti.
(album completo qui: https://tinyurl.com/yzz547we)
Dopo il successo di critica dell'impareggiabile "Black Sheep Boy" (2005), gli Okkervil River del cantautore-chitarrista Will Sheff continuano a lavorare su quel country folk originale per i due successivi album, "The Stage Names" (2007) e "The Stand Ins" (2008). Esplorate con soddisfazione queste sonorità, è giunta l'ora di cambiare qualcosa e di lasciarsele alle spalle.
Gli Okkervil River compiono così un passo avanti aggiornando a un suono indie più 'mainstream' le proprie qualità musicali per il loro sesto album, "I am very far". Molto meno country-folk e molto più alt-rock, stranamente la cosa finisce per fare loro bene, contrariamente a quanto avvenuto ad altri progetti come Iron & Wine, a prezzo qualche volta di arrangiamenti più banali - non tutti possono fare gli Springsteen o i Pearl Jam senza suonare abusati (si sentano le mediocri "Rider" o "Lay of the last survivor").
L'album si apre con un uno-due da paura, "The Valley" e "Piratess", entrambe ottime introduzioni al nuovo suono degli Okkervil River, con la seconda in particolare a tratti quasi scanzonata nell'andamento ritmico ammiccante di Patrick Pestorius (basso) e Cully Simington (batteria).
"We need a myth", con i suoi numerosi cambi di tonalità e di ritmica, è un altro pezzo straordinario, le cui sonorità folk rock sanguigno trovano un improvviso momento di sublime nell'ostinato degli archi della sua fase centrale; la pregevole "Hanging from a Hit" si apre quasi come un pezzo della Band, mentre la successiva "Show yourself" appare un ibrido di sonorità meno riuscito ma comunque non deplorevole; meglio fa "Your past life as a blast", che percorre eloquentemente un sentiero non scontato fra nostalgia e gioia.
A conclusione del disco forse la canzone più riuscita, "The Rise", non a caso un epos dolente, in cui le capacità del gruppo di assecondare con l'arrangiamento i saliscendi emotivi di Sheff fanno venire la pelle d'oca, senza che però sia necessario riesumare gli stilemi di "Black Sheep Boy" e dintorni.
Al netto di alcuni pezzi meno riusciti, "I am very far" è un ottimo disco di una delle formazioni più intriganti dell'onda indipendente del folk americano di inizio millennio, consigliato sia ai fan del gruppo che a coloro che vogliono avvicinarsi all'opera di Will Sheff e soci.
- Prog Fox
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