Il 30 aprile di trent'anni fa usciva "Union", album in studio degli YES (official), uno dei principali gruppi del progressive rock britannico degli anni settanta. Un disco piuttosto bizzarro, risultato della riunione delle due formazioni in cui si era separata la formazione, e che vedeva impegnati così ben otto membri storici del gruppo (Jon Anderson, Steve Howe, Trevon Rabin, Chris Squire, Bill Bruford, Alan White, Tony Kaye e Rick Wakeman, oltre al bassista Tony Levin, usuale collaboratore di Bruford). Il gruppo andò poi in tour con questa lineup, con risultati altrettanto bizzarri.
(il disco completo qui: https://tinyurl.com/c6awj8jc)
Nel 1990 i membri degli Yes si trovavano in una situazione piuttosto problematica e poco felice. Dopo il pessimo "Big Generator" (1987), il cantante Jon Anderson aveva clamorosamente mollato il gruppo e ancora più clamorosamente si era riunito ad altri tre transfughi, ovvero il chitarrista Steve Howe, il tastierista Rick Wakeman e il batterista Bill Bruford, incidendo un album chiamato semplicemente "Anderson Bruford Wakeman Howe" (1989) e andando in tour con il repertorio classico degli Yes. Lo 'star power' del quartetto, che imbarcò come elemento ombra Tony Levin, bassista straordinario e collaboratore usuale di Bruford nei King Crimson, era molto maggiore di quello dei titolari del marchio Yes, ovvero del bassista Chris Squire e del tastierista Tony Kaye (membri fondatori del gruppo), del batterista Alan White (titolare della seggiola di batterista dal 1972) e del chitarrista Trevor Rabin (fondamentale nel guidare il gruppo al successo con l'album "90125", quello di "Owner of a Lonely Heart", nel 1983).
I due progetti iniziarono entrambi a incidere un nuovo album, finché, durante le registrazioni, il primo gruppo non capì che non avere il marchio Yes era un problema insormontabile per il proprio successo e il secondo gruppo capì che non avere Jon Anderson alla voce era un problema altrettanto grande. Pertanto, con il disco di Anderson Bruford Wakeman Howe quasi finito e quello degli Yes superstiti da poco iniziato, non si decise di mettere tutte le canzoni pronte su un unico album, facendo incidere le voci soliste di tutti i brani a Jon e mettendo la riconoscibilissima seconda voce di Squire sulle canzoni di A/B/W/H.
Il risultato fu in buona misura insoddisfacente, da un lato a causa dell'intervento fastidioso del produttore Jonathan Elias, che rimpiazzò tastiere e chitarre con proprie sovraincisioni e uso assai superfluo di coristi e musicisti in studio, ma soprattutto perché delle quindici canzoni di "Union", la maggior parte ripetevano le discutibili parabole di "Big Generator" e "Anderson Bruford Wakeman Howe". Brani come "Dangerous" sembravano più appropriati nel ruolo di b-sides di Michael Jackson o di singoli di qualche mediocre gruppo pop rock di fine anni ottanta, toccando probabilmente il nadir della formazione britannica.
Per fortuna non tutto il disco è da buttare, e in effetti i brani migliori di "Union" sono certamente superiori alle migliori tracce di "Big Generator" e di "Anderson Bruford Wakeman Howe", iniziando una stagione di rinascita del gruppo che durò per qualche anno, permettendoci di apprezzare il successivo "Talk" (del 1994) e i due doppi live/studio "Keys to Ascension", prima di un nuovo tuffo nella mediocrità con "Open your eyes" del 1997. Nel frattempo i nostri eroi avrebbero cambiato tre volte formazione, per cui torniamo a concentrarci su quello che di buono ha da offrire "Union".
"I would have waited forever" è un bellissimo incipit che ci trascina prima nel fatato mondo degli Yes anni settanta e poi, incredibilmente, senza soluzione di continuità, vi mescola stilemi moderni del loro migliore rock ottantiano. "Masquerade" è una straordinaria gemma acustica di Steve Howe. "Silent Talking" è il brano più progressive, forse, con un ritmo inusuale e autocitazioni dal loro capolavoro "Heart of the Sunrise" del 1971, che si chiude con una ascensione angelica che ricorda "Soon" (da "Relayer", 1973). Insomma, 13 minuti di grande musica su 70, il che è più di quello che offrivano i due album precedenti già molte volte citati, almeno alle orecchie del vostro umile recensore, anche perché alcune altre canzoni, come "Shock to the System", sono comunque decenti, il che è più o meno il massimo a cui si poteva aspirare in queste circostanze (e invece no, come abbiamo detto ci sono cose più che decenti - evviva!).
Bill Bruford considera il disco il peggiore su cui abbia mai suonato, rovinato dal produttore Jonathan Elias e dalle pressioni della casa discografica che rovinò il materiale molto più progressive e sperimentale che stavano preparando; Rick Wakeman lo odia al punto da chiamarlo "Onion" (cipolla) perché ogni volta che lo ascolta gli viene da piangere; e in generale non piacque gran che a nessuno dei musicisti coinvolti.
- Prog Fox
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