venerdì 16 aprile 2021

Temple of the Dog: "Temple of the Dog" (1991)

Usciva trent'anni fa oggi un piccolo capolavoro del neonato grunge, l'unico disco eponimo dei Temple Of The Dog, un progetto estemporaneo creato come tributo al cantante Andrew Wood dei Mother Love Bone, morto per le conseguenze di una overdose il 19 marzo del 1990, a soli 24 anni. L'album venne realizzato da quello che era il primo supergruppo grunge: il cantante Chris Cornell e il batterista Matt Cameron dei Soundgarden, amici di Wood, con quattro quinti dei Pearl Jam, ovvero il bassista Jeff Ament e il chitarrista Stone Gossard (che avevano suonato con Wood nei Mother Love Bone), il chitarrista Mike McCready e il cantante Eddie Vedder. Fu anche forse il primo tributo alla prima delle tante, troppe morti maledette dell'era grunge.



(il disco completo qui --> https://tinyurl.com/ayvpmkwz)

In questi giorni tormentati capita spesso di leggere, iterato nelle più diverse combinazioni possibili, un meme nostalgico.
Un meme che suona così: "è il 199X, stai nella tua cameretta a leggere XX/fare YY, tutto è tranquillo, sei felice"
Io potrei semplicemente declinarlo così: "E' il 1992, stai guardando MTV, vedi un video con Eddie Vedder e Chris Cornell che cantano (tu non sai ancora che si chiamano così, ma lo saprai a breve), ti vengono i brividi e lo catturi con il videoregistratore per guardarlo fino a consunzione. Sei tranquillo, hai scoperto un nuovo sacro graal musicale, stai leggendo Dylan Dog invece di studiare fisica per domani ma sei, davvero, felice e va tutto bene"

Ecco: per chi è stato fulminato sulla via di Damasco dei ragazzi di Seattle con le camicie a quadretti, ascoltare i "Temple Of The Dog" è sempre come un ritorno a casa, come un ripercorrere un tratto di strada noto e familiare a cui si è legati a doppio filo.
La storia dice che il (super)gruppo nasce come elaborazione del lutto, di un lutto generazionale e spartiacque.

Il cuore di ANdy Wood, cantante ed anima dei brillanti e tormentati "Mother Love Bone", si è improvvisamente fermato.
I restanti membri del gruppo (Gossard e Ament) sono straziati, la band è considerata un'esperienza chiusa: i due hanno deciso di ripartire praticamente da zero: hanno conosciuto un diciottene cantante surfista dalla voce da crooner, tale Eddie, che pare interessato a formare un gruppo. Il seguito è abbastanza noto.
Ma intanto un altro amico di Andy, Chris Cornell (cantante e leader di un'altra band decisamente interessante: i "Soundgarden", altro seguito abbastanza noto e rilevante) sa che le radici della pianta seminata da Andy sono ancora vive e pulsanti.
Per Chris le lacrime si devono certo asciugare, ma a suo modo di vedere serve un rito collettivo, un rito di celebrazione creativa e di ricordo.

Guarda caso, Chris ha nel cassetto delle nuove canzoni, scritte forse proprio pensando a Andy, che meriterebbero una possibilità.
Che sarebbero giuste per un tributo, per essere realizzate e completate in una terra di confine tra il passato appena chiuso ed il futuro. Un tributo che non sia stanco e bolso ma vivo, pulsante, nuovo.
L'accordo è quindi preso: Gossard e Ament (e Eddie) coinvolgono anche il loro amico chitarrista Mike McCready, Cornell chiama a raccolta il batterista dei suoi Soundgarden, Matt Cameron.

Alle prime canzoni scritte da Cornell se ne aggiungono altre e si decide il nome della band rubandolo proprio da un verso di una canzone di Andy.

Il disco - va da sè - è sincero ed emozionato. Se è vero che ci saranno momenti probabilmente superiori dal punto di vista artistico nelle esperienze dei "supergruppi" orbitanti nella galassia di Seattle (ad esempio, uno su tutti, il disco dei "Mad Season"), i "Temple Of The Dog" hanno dalla loro parte il fatto di essere anche una perfetta fotografia di un momento e della celebrazione di un rito di passaggio. Non è un caso che alcuni pezzi del disco verranno poi frequentemente ripresi nei live delle diverse carriere che da tale punto di collisione si dipartono: Pearl Jam, Soundgarden, Audioslave, le esperienze da solisti di Cornell e Vedder.
Quasi fossero dei semi originali a cui riferirsi sempre e comunque, delle stelle polari emotive a cui rivolgersi sapendo che quella è l'origine e quella è la direzione.

Dal riff usato per "Times of Troubles" nasce, con genesi parallela, la "Footsteps" del canzoniere dei Pearl Jam (difficile dire quale sia la più emozionante tra le due versioni), mentre "Hunger Strike" è il filo rosso che legherà questi ragazzi (e tutti noi) nel decennio successivo ad un mondo emotivo, ad un preciso marchio di fabbrica.
Su questo brano, che è ovviamente quello a cui ci si riferisce nel video di cui la memoria è evocata sopra, si celebra l'esordio sontuoso di Vedder nel nostro immaginario collettivo: il matrimonio con i timbri di Cornell è perfetto, mai una seconda voce in un brano aveva così scaldato i cuori.

30 anni dopo rieccoci qui: le vie della storia ci hanno riportato ancora nella stessa cameretta in cui fecero irruzione d'improvviso i sogni di una Seattle immaginata, distante ed irraggiungibile ma allo stesso tempo vicina e irrinunciabile.
Che vada più o meno bene, che si sia più o meno felici: queste sono questioni che è lungo dibattere qui.
Ma che quel momento, quel disco, quelle due voci che si rincorrono siano un punto fermo nella mappa delle cose a cui ritornare eternamente per ritrovare se stessi, beh, questo è fortunatamente fuori di dubbio.

- il Compagno Folagra

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