giovedì 8 aprile 2021

Massive Attack: "Blue Lines" (1991)

L'8 aprile di trent'anni fa usciva "Blue Lines", album di esordio dei Massive Attack, con cui il gruppo di Bristol, UK, inventava il trip hop. Un album fondamentale che dettò la via a un nuovo genere, derivato dall'hip hop ma interamente diverso da esso, e incredibilmente influente.



(il disco intero qui --> https://tinyurl.com/pkj6fbrd)

Potremmo dire che i Massive Attack sono uno dei prodotti più riusciti del “meltin’pot”, la policy in voga nell’UK post-coloniale: la fusione a caldo di culture e etnie provenienti dall’ex Impero potevano coesistere, una di fianco all’altra, come tante tribù diverse, nella speranza che da esse si potesse distillare (o forse forgiare?) una sintesi. L’esperimento non è sempre riuscito, e probabilmente mai è stato altrettanto positivo che nella Bristol di fine ’80, patria appunto dei Massive Attack.

Nati come Wild Bunch, una specie di collettivo aperto ed itinerante di DJ, rapper e musicisti, la cui mission era una parte di sperimentazione per nove parti di cazzeggioameno, il gruppo viene poi ridenominato Massive Attack dai padri fondatori Robert “3D” del Naja, Andrew “Mushroom” Vowles, Grant “Daddy G” Nelson (tutti e tre un po’ DJ, un po’ rapper, un po’ artisti di strada). Ad essi si aggiungono gli abitué Adrian “Tricky” Thaws, rapper, Horace Andy (pezzo grosso del reggae) e Shara Nelson, deliziosa voce soul, più una serie di collaboratori occasionali, turnisti ed ospiti d’eccezione. Dal gentile mescolamento dei generi di musica black (soul, rap, r’n’b, reggae, funk), di una buona dose di elettronica, e di un’attitudine certamente rock/wave, prenderà il la il genere chiamato trip-hop, sexy e disturbante, uggioso, urbano, combinazione nuova di materiali noti e affidabili, sospeso tra utopia e distopia.

Già l’opening “Safe From Harm” è una decisa dichiarazione di intenti: una vorticante sezione ritmica funk viene viene accarezzata da sintetizzatori eterei e dalla voce souldi Shara Nelson, calda ed espressiva, a definire la linea melodica. Un pezzo orecchiabile e conturbante allo stesso tempo, attraversato da una tensione che è la cifra stilistica dl trip-hop tutto: la tensione tra l’umanità e l’oppressione dell’ambiente urbano, tra attaccamento alle radici e assimilazione nel mainstream, (musicale, ma culturale in senso ampio).

Il resto dell’album mantiene la promessa fatta in apertura, miscelando generi e ritmi senza soluzione di continuità: c’è il rap cannabinoide di “One Love” e lo psych-dub-hop della jam “Five Man Army” (con sintetizzatori che paiono venire da “Violator”), c’è quella specie di dittico formato dalla title-track con “Be Thankful with What You Got”, con il rap fumoso della prima ad esacerbare l’attesa per il giro di batteria electrosoul della seconda. C’è spazio per un piccolo anticipo del Moby-Sound in “Unfinished Simpathy”, che non sfigurerebbe in “Play” o “18”, e un brano che invece starebbe bene in qualsiasi album dei Gorillaz come “Lately”; “Daydreaming” riprendeil ritmo dell’opening, aggiungendoci scambi hip-hop e vibrazioni acid-jazz. Chiude il disco l’epica cinematica di “Hymn of the Big Wheel”, a certificare l’assenza di momenti deboli in un disco fondamentale per la storia della musica degli anni ’90 e non solo, per dirne una solo una, la dubstep di Kode9 e Burial è difficile da immaginare senza l’apporto del collettivo di Bristol.

La carriera dei Massive Attack proseguirà, sorprendentemente, sempre verso l’alto, complice un’avversione verso la pubblicazione “seriale”: gli LP propriamente detti saranno in totale 3 negli anni ’90, 2 finora nel nuovo millennio (l’ultimo, nel 2010, è stato accolto come un’epifania laica). Qualità contro quantità, a costo di non essere sempre in heavy rotation pur di non compromettersi. In quanti hanno avuto quest’attitudine, nella storia del pop?

- Spartaco Ughi

Nessun commento:

Posta un commento

ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO:   #  --  A  --  B  --  C  --  D  --  E  --  F  --  G  --  H  --  I  --  J  --  K  --  L  --  M  --  N  --  ...