Il 12 marzo di trent'anni fa usciva "Out of Time", il disco della consacrazione degli R.E.M. a uno dei gruppi di maggior successo degli anni novanta. Un successo meritato per questo album che contiene brani ormai classici come "Losing My Religion" e "Shiny Happy People" - ma anche molto altro.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/mufc3vkb)
Dopo il successo di "Green" e "Document", gli R.E.M., gruppo di punta del college rock americano, indipendenti di Athens, Georgia, fanno il salto di qualità commerciale e firmano per una major discografica.
In un'epoca in cui il mondo alternativo e indipendente del rock e del rap americano sta emergendo come fenomeno di massa e viene cooptato dalle multinazionali nei segmenti musicali tradizionali, il dubbio di tutti, che si fosse appassionati di grunge, hip-hop o thrash metal, riguardava la capacità degli artisti di mantenere la propria integrità e il proprio livello musicale.
Dopo tre anni dall'ultimo lavoro, ci si avvicina così a "Out of Time" con una certa apprensione - apprensione che viene dissolta già dalle prime note di "Radio Song", in perfetto equilibrio fra funk pop e usuale jingle jangle byrdsiano, chiusa dal perfetto rap di KRS ONE.
A seguire arriva uno dei pezzi più famosi, suonati e abusati degli anni novanta, "Losing my religion", una triste ballata in minore impreziosita dal mandolino del chitarrista Peter Buck e dagli archi, canzone che quasi da sola proietta il disco alla vittoria di tre Grammy e che francamente il vostro umile recensore fa fatica ad ascoltare dopo averne abusato negli anni novanta.
Diversi sono i pezzi che seguono questo linguaggio introspettivo e malinconico e sfruttano il timbro nasale e sofferto di Michael Stipe, come la drammatica "Low" e la dinamica "Texarkana", cantata dal bassista Mike Mills e sorretta dalla voluttuosa precisione del batterista Bill Berry.
A fungere da contraltare ai pezzi più cupi stanno vere perle di folk rock/pop influenzate da Byrds e Beach Boys come "Near Wild Heaven" (ancora Mills alla voce) e "Shiny Happy People", brani che vedono entrambi la partecipazione della cantante dei B52's Katie Pierson e che rientrano a pieno titolo fra i migliori brani dell'album. Altrettanto valida la meravigliosa "Half a World Away", che incrocia introspezione malinconica e desiderio di vita, trovando un sapiente punto di incontro fra i brani tristi e quelli allegri del disco.
Notevoli anche i bellissimi brani (quasi) strumentali "Endgame" e "Belong", in cui Stipe e soci si limitano a vocalizzi senza parole mentre le musiche sono dipinte con intarsi fatti di roots rock americano e lievi tocchi psichedelici. Resta così fuori da questo disco pressoché perfetto forse solo la conclusiva "Me in Honey", altro duetto con Katie Pierson che appare un po' troppo debole per chiudere l'altalena emotiva dell'album. Meglio sarebbe stato affidare la chiusura al penultimo pezzo, la sofferta "Country Feedback", forse la migliore prova vocale di Stipe nell'album, e canzone che testimonia anche delle qualità come tessitore di atmosfere elettroacustiche di Peter Buck.
"Out of Time" è un vero e proprio capolavoro del rock anni '90 e un disco che segna un'era, oltre a garantire ai R.E.M. un ingresso trionfale in un decennio, gli anni novanta, in cui sapranno farsi valere con altri tre dischi di grande impatto, che ce li mostrano anche capaci di mantenere una invidiabile integrità artistica.
"Out of Time" è un vero e proprio capolavoro del rock anni '90 e un disco che segna un'era, oltre a garantire ai R.E.M. un ingresso trionfale in un decennio, gli anni novanta, in cui sapranno farsi valere con altri tre dischi di grande impatto, che ce li mostrano anche capaci di mantenere una invidiabile integrità artistica.
- Prog Fox
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