martedì 9 marzo 2021

Alice Cooper: "Love it to death" (1971)

Il 9 marzo di cinquant'anni fa esce "Love it to death", terzo album degli Alice Cooper (allora una band e non solo alter ego del cantante e leader Vincent Furnier). È il disco della consacrazione, l'album con cui, passati da Frank Zappa a Bob Ezrin, inventano lo shock rock e propongono una alternativa goliardica, grandguignolesca e sarcastica del serioso hard rock britannico, fondendo T Rex e Black Sabbath, Marc Bolan e Ozzy Osborne, come nessuno prima.



(il disco completo qui: https://tinyurl.com/e2xymkcw)

Dopo due album realizzati con il patrocinio nientemeno che di Frank Zappa, gli Alice Cooper decidono di imprimere una svolta al proprio suono assumendo come produttore un musicista canadese di belle speranze dal nome di Bob Ezrin, classe 1949 e quindi nemmeno 22enne all'epoca. Invece di una parodia di un gruppo psichedelico e sperimentale, gli Alice Cooper divengono così la parodia di un gruppo hard rock.

Nel Regno Unito gruppi come i Black Widow e i Black Sabbath, per non parlare dei Led Zeppelin, avevano fatto riferimento a tematiche occulte, esoteriche od orrorifiche, ma gli Alice Cooper decidono che la seriosità dell'hard rock non fa per loro. In canzoni come "Black Juju" e "Ballad of Dwight Fry" l'horror è grottesco ed esasperato al punto da suonare volutamente ridicolo, anche se in prima battuta violento e addirittura necrofilo. Il lavoro con Zappa ripaga, il non prendersi sul serio rende esilaranti le prestazioni sopra le righe di Alice/Vincent alla voce, crea un legame con l'ascoltatore con la strizzatina d'occhio nascosta nei testi, le capacità musicali costruite con lo sperimentalismo dei primi lavori fanno sì che la musica non si limiti a un hard rock ottuso.

L'orecchio dell'ascoltatore rileva sottigliezze notevoli, incroci fra le chitarre, un uso sobrio di tastiere psichedeliche e finanche di ritmi tribali (la strepitosa "Black Juju", nove minuti conclusi da un assolo di chitarra su tappeto di organo degni dei Doors). Tanto nel look quanto nella musica gli Alice Cooper mescolano glam rock alla T Rex/Bowie e psichedelia americana, inventando di fatto lo shock rock e influenzando generazioni di musicisti, dai Blue Oyster Cult alle New York Dolls, dai Kiss a Marilyn Manson.

Non è tutto horror, naturalmente: canzoni come l'ottima apertura di "Caught In A Dream" e la stupenda "I'm Eighteen" sono veri inni generazionali che recuperano il valore più profondo del rock'n'roll, il ribellismo giovanile (I'm in the middle without any plans I'm a boy and I'm a man I'm eighteen and I don't know what I want), che sarà poi aspetto centrale anche due anni dopo in "School's Out".

Menzione d'onore anche per le eccezionali "Is it my body" e "Second Coming", quest'ultima chiusa da una splendida coda di pianoforte.

Culmine emotivo dell'album è "Ballad of Dwight Fry", il primo grande affresco di follia tracciato nella carriera di Alice Cooper, quello di un uomo rinchiuso in un manicomio criminale dopo avere commesso un omicidio. Per ricordarci che il gruppo non si prende sul serio, però, alla canzone viene apposta come lunga coda "Sun Arise", canzone del comico australiano Rolf Harris del 1963, che mescola musica aborigena e novelty, ricordandoci che il carattere musicale di Alice & soci è eminentemente parodistico, che il grandguignolesco è mirato principalmente all'intrattenimento e che se vogliamo cercare un messaggio nelle loro liriche e nella loro musica non è certo alle storie horror che dobbiamo guardare, ma forse al carattere sfrontato e dissacrante della loro gioventù.

"Love it to death" risulta così il primo superbo classico di una carriera entusiasmante, imperdibile per gli amanti dell'hard rock, dell'heavy metal, del dark e del glam, anche se gli Alice Cooper in un certo senso contengono, anticipano, superano e parodizzano ognuno di questi generi grazie a questa sequenza di canzoni incredibili.

- Prog Fox

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