domenica 14 febbraio 2021

Mogwai: "Hardcore will never die, but you will" (2011)

Usciva il 14 febbraio di dieci anni fa "Hardcore will never die, but you will", settimo album degli scozzesi Mogwai, che li vedeva consolidare il proprio stile anche alla luce delle caute innovazioni del precedente album "The Hawk Is Howling".



(il disco completo qui: https://tinyurl.com/2fjeswco)

Difficile trovare un disco con un titolo più spiazzante e situazionista del settimo disco in studio dei Mogwai.
Ci eravamo lasciati con "The Hawk Is Howling", possente opera di transizione e di interrogativi sullo scenario post-rock.

Alcuni brani di quel lavoro, infatti, facevano pensare ad un passo fatto quasi di lato piuttosto in direzione netta e progressiva, quasi un volere assestare le scosse telluriche di "Batcat", epitome di un corso in cui il post rock sposa le istanze più emotive e (si parva licet) melodiche dello stoner e dell'hard, compensandole con momenti più spaziali (in senso quasi astronomico) e bizzarre dilatazioni quasi da gingle.

Il mix era riuscito in parte, lasciandoci affascinati dai momenti in cui i Mogwai facevano (si scusi l'ovvio) i Mogwai e dubitativi riguardo la direzione complessiva di alcuni episodi derubricati ad esperimenti e - appunto - passi di lato.

"Hardcore Will Never Die (but you will)" ci coglie ancora con i dubbi sopra esposti rispetto alla direzione complessiva dei quattro di Glasgow e del post rock in generale.
Sia detto subito, i dubbi non vengono risolti ed è forse questa la vera risposta a "cosa sono diventati i Mogwai". Ma di questo, dopo.

Venendo al disco: "White Noise", "Death Rays" e "Rano Pano" - per citare i brani di apertura - sono rassicuranti sentieri tracciati nel terreno emozionale già noto; forse non i migliori pezzi della carriera dei nostri ma solidi richiami ad un marchio di fabbrica inconfondibile e da cui ancora attingere a piene mani senza remora alcuna.

"Mexican Gran Prix" si ricollega agli episodi più trasversali del disco precedente, riuscendo a includere meglio che in altri casi l'uso di loop elettronici e vocoder - elementi sempre più presenti nell'arsenale degli scozzesi.

I pezzi da novanta arrivano in mezzo al disco e coprono i due lati più classici della produzione "Mogwai": "San Pedro" è un solido martello heavy, con le solite linee melodiche mirabilmente inserite in un contesto quasi da headbanging e con un violento intrecciarsi di chitarre al centro del pezzo che rendono questo brano un instant-classic della loro carriera.

"Letters To The Metro" è quasi una "Yes! Im a long way from home!" parte due, senza picchi shoegazer ma con le stesse dolenti dilatazioni e con le classiche tinte soffuse (che saranno poi riprese con ancora superiore maestria nella successiva colonna sonora di "The Revenants").

"George Square Thatcher Death Parties" fa tecnicamente il paio con "Mexican GP" ed è quasi un power-pop-post-rock, complessivamente riuscito.

Piace molto la cavalcata di "How To Be A Werewolf" mentre gira un po' a vuoto, classico esempio del "già detto meglio altre volte", "Too Raging to Cheers" che propone il consueto alternarsi silenzio-rumore con fin troppo mestiere.

Così come "You are Lionel Ritchie" non riesce completamente nel compito di concludere in piena grandezza il disco. Bizzarro ed evocativo il parlato iniziale (in italiano) ma manieristico lo svolgersi del pezzo: non brutto, quasi nulla dei Mogwai è respingente all'ascolto, ma di certo in linea con una zona di conforto da cui non uscire non sempre è un pregio.

"Hardcore will never die", in conclusione, rientra pienamente nel novero dei dischi in cui una band pone dei punti chiaramente e nettamente fermi alla propria cifra stilistica ed espressiva.

Ci si deve soffermare più sulla qualità complessiva dell'opera che sull'idea di ricercare in esso spunti di innovazione e novità complessive: i giri si abbassano in qualche punto ma il motore appare sempre vivo e pulsante.

Nel 2011, e da li in poi, questo saranno i Mogwai: solidi continuatori di se stessi e di quella rivoluzione di chiaro scuri inizata con la fiammata - quella sì dirompente - di "Young Team".

E se la qualità di questa conservazione è sempre così alta e ben distante dalla maniera a cosa serve, alla fine, il riformismo?

- il Compagno Folagra

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