Universalmente considerato uno dei massimi dischi del movimento krautrock, "Tago Mago", secondo album in studio e terzo complessivo dei tedeschi Can, veniva completato nel febbraio di cinquant'anni fa nel castello di Nörvenich, presso Colonia. Sarebbe stato pubblicato in agosto in Germania e nel 1972 nel Regno Unito.
(il disco nell'edizione del 40° anniversario --> https://tinyurl.com/phmbvz2x)
Nel 1970 i Can (il bassista Holger Czukay, il batterista Jaki Liebezeit, il chitarrista-violinista Michael Karoli e il tastierista Irmin Schmidt) si ritrovano senza cantante dopo l'abbandono dell'afroamericano Malcolm Mooney. Reclutato il cantante Damo Suzuki, mettono insieme la compilation "Soundtracks", brani per colonne sonore underground che testimonia di questo periodo di transizione, e poi si dedicano anima e corpo alla composizione e alla registrazione del loro nuovo progetto, che prenderà il nome di "Tago Mago" ispirandosi all'isola di Tagomago nelle Baleari.
Il disco è un trionfo di critica ed è osannato dai giornali musicali britannici, facendo sì che i Can possano aprire la propria attività concertistica anche nel Regno Unito. Si tratta davvero di un grande album, o meglio di un grande doppio album. Mentre il mondo della psichedelia americana si rivolge al country rock e al soft rock, mentre quello britannico abbraccia perlopiù il progressive, i Can, capofila dei gruppi tedeschi, segue una sua personale strada che non rinnega la psichedelia anche più radicale affiancandole ritmi in levare, talvolta perfino di sapore funk. I brani si dividono fra composizioni articolate e improvvisazioni nelle quali spicca il chitarrista Karoli, capace di illuminare con la sua energia le tracce del disco.
Naturalmente un disco del genere non può essere esente da qualche difetto: sfido chiunque ad ascoltare senza interruzione e ad ascoltare con piacere brani come "Halleluhwah" o "Augmn", quasi venti minuti di improvvisazioni tediose il primo e quasi venti minuti di blaterare su un tappeto di suoni fastidiosi il secondo. Ma tolte questi brani che occupano inutilmente due facciate, e la discutibile "Peking O", che replica tali idee in forma appena meno radicale e più contenuta (soprattutto in termini di tempo - soli undici minuti e rotti), le altre canzoni sono davvero clamorose.
"Paperhouse" è un vero capolavoro, una meditabonda riflessione colorata dalla chitarra di Karoli e dalle tastiere di Schmidt che solca i binari della psichedelia pinkfloydiana in una interpretazione totalmente originale, trasfigurandosi poi grazie alla ritmica tribale di Liebezeit e agli assoli di Karoli, chitarrista tanto capace nella ritmica quanto nell'improvvisazione solista. "Mushroom" è sinuosa e minacciosa, con un Suzuki allucinato e paranoico e la batteria di Liebezeit in primo piano. "Oh Yeah" si apre con la suggestiva voce di Suzuki riprodotta al contrario su un perfetto tappeto strumentale del gruppo. "Bring me coffe or tea" chiude il disco con un'altra esibizione pazzesca di forza sorniona.
Se le composizioni sono assolutamente brillanti, più difficile è prendere posizione sulle sonorità dell'album: è vero che il suono è piuttosto scarno e leggero, dovuto ai valori di produzione volutamente molto bassi (fu inciso con un registratore a due sole tracce), ma per quanto a volte si vorrebbe sentire una chitarra più poderosa e una batteria più nitida, anche questo contribuisce al fascino di culto di "Tago Mago".
Nonostante alcuni momenti superflui, "Tago Mago" rappresenta uno dei culmini della musica psichedelica, del krautrock tedesco e del rock progressivo europeo, e conserva un fascino immutato fra tutti coloro che sono appassionati del rock più audace e sperimentale, rappresentando una influenza enorme su un gran numero di artisti contemporanei e successivi, dagli Hawkwind a David Bowie, dai Faust ai Talk Talk, dai Radiohead ai Mogwai.
- Prog Fox
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