giovedì 10 dicembre 2020

King Crimson: "Lizard" (1970)


Il 10 dicembre di cinquant'anni fa veniva pubblicato il magnifico "Lizard", terzo album dei maestri del prog rock britannico King Crimson. Jazz-rock progressivo spigoloso, cupo e dissonante, "Lizard" è un disco originale e carico di fascino che rimane una delle cose più complesse e oscure del progressive del primo periodo.




(l'album completo qui: https://tinyurl.com/y6refpdk)

Poco più di un anno dopo il fulminante esordio di “In the Court of the Crimson King”, della formazione originale dei King Crimson rimangono solo Robert Fripp, chitarrista visionario nonché dittatore “illuminato”, e il “guru” Peter Sinfield, addetto agli effetti speciali e geniale poeta autore dei testi. Il resto della band è stato spazzata via: il (grande) batterista Michael Giles raggiunge suo fratello Peter fuori dal gruppo; Greg Lake ha debuttato coi suoi nuovi pals Emerson e Palmer, e si prepara ad una carriera di primo piano negli ambiti del prog rock; Ian McDonald, demiurgo del primo Re Cremisi, si inabissa in un anonimato quasi ininterrotto per il resto degli anni ’70.

Tabula rasa, e continuazione della fase “transizionale” della band, con formazioni in costante mutamento e, di conseguenza, attività live ridotta al lumicino.A questo giro, i King Crimson sono accreditati di cinque elementi: oltre a Sinfield e Fripp ci sono Mel Collins, sassofonista e flautista che ricomparirà a più riprese nella line-up della band; Andy McCulloch, discreto batterista; e Gordon Haskell, bassista/cantante (peraltro scomparso pochi mesi fa, ennesima vittima di quest’anno2020). Ad accompagnare la cricca, un manipolo di turnisti jazz mostruosi, capitanati dall’eccelso pianista Keith Tippett, e che includono anche Jon Anderson, tra gli altri.

Fripp, autore di tutte le musiche, compie una prima virata stilistica rispetto al dittico d’esordio della band, piuttosto omogeneo nell’interpretare in maniera epica e “seriosa” di quella miscela di rock, jazz e musica classica che passerà alla storia come prog: la presenza di una simile concentrazione di talento jazz rende possibili intermezzi, florilegi e contrappunti di sofisticazione senza precedenti (almeno nel mondo del rock). L’epica medievaleggiante di “Court” e “Poseidon” viene stortata, resa obliqua e trattata con tagliente ironia contemporanea, come illustrato dalla copertina, in cui membri di una moderna rock band con tanto di fender e batterie sono ritratti in uno stile da miniatura amanuense. La scelta è felice, e Lizard è il primo, deciso passo avanti nell’evoluzione del suono della band.

L’incipit è programmatico: alle leziosità melodiche della chitarra di Fripp fanno seguito un mellotron possente, prima, e una serie di incursioni jazz, dopo, a fare da sfondo alle allucinazioni ideate da Sinfield per rappresentare il desolante spettacolo della modernità come un’attrazione, il circo appunto, coi suoi freaks, i suoi giocolieri, e i suoi pagliacci. La satira prosegue in “Indoor Games”, in cui la vita sedentaria e ripetitiva di un uomo ripugnante viene accostata ai giochi dei cavalieri medievali, conrisultati (volutamente) grotteschi. “Happy Family” è una filastrocca punteggiata di isteria dalle vorticose scale jazz di Tippett che fa da preludio a “Lady of the Dancing Water”, strepitosa ballad dalle melodie indimenticabili che chiude in grandezza il lato A.

La title track occupa invece l’intero lato B, sotto forma di una pseudo-suite psych-prog classicheggiante che comincia quasi beatlesiana, prosegue con un bolero, per poi precipitare in una spirale di follia nella sezione intitolata “Battle of Glass Tears”, incui a farla da padrone, oltre al mellotron suonato da Fripp, c’è *letteralmente* una tempesta di ottoni, un caos organizzato che è il manifesto programmatico di questa fase dei King Crimson, nonchè una dei momenti di art-rock più originali della storia.

Se “In the Court of the Crimson King” è il disco più iconico, più conosciuto, di Fripp e soci, vale la pena considerare ciò che la band, nelle sue varie incarnazioni, ha saputo produrre quando si è allontanata da quella pietra miliare per andare in direzioni nuove. “Lizard”, dicevamo, è stato il primo passo nella continua evoluzione sonora dei Crims, un salto che sarà portato a compimento nel successivo “Islands” (massimo capolavoro della leggendaria, stupenda era-Sinfield, secondo chi scrive) e che setterà il precedente per le ulteriori incarnazioni della band, da quella “heavy” di metà ’70 in poi.

Un disco da ascoltare e riascoltare, assaporare nelle sue stratificate complessità, per quanto a tratti pompose e cervellotiche. Se non avete paura di passare per pretenziosi di fronte ai vostri amici o se, come me, avete amici molto pazienti, “Lizard” è una di quelle cose che può dare dipendenza, e farvi cadere in una delle più profonde, ma confortevoli, tane del bianconiglio che siano state suonate nel ventesimo secolo.

- Spartaco Ughi

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