sabato 12 dicembre 2020

Clash: "Sandinista!" (1980)

Quarant'anni fa oggi usciva "Sandinista!", quarto album e capolavoro dei The Clash, pubblicato in un gargantuesco formato triplo LP. Spropositato, eccessivo, prolisso, populista e interminabile - ma ha anche dei difetti. Vero che certi eccessi dub e certe ingenuità appesantiscono un ascolto complessivo di quasi due ore e mezza di musica - ma l'ispirazione e l'energia del gruppo sono innegabili, e la quantità di classici e canzoni leggendarie è clamorosa.



(il disco completo qui: https://tinyurl.com/yx9kesd4)

Questa è la storia di un album particolare, di un album assurdo e improponibile, di un album magnifico, di un album fallimentare, di un album potentissimo e politicizzato, di un album ridicolo, pomposo, ambizioso e sproporzionato, dell'ultima grande opera musicale dei Clash. È la storia di "Sandinista!", quarto album del gruppo punk inglese, uscito il 12 dicembre del 1980.

Ispirati dalla rivoluzione sandinista in Nicaragua, i Clash concepiscono un album ancora più esuberante, gargantuesco e variegato del precedente "London Calling". L'ambizione artistica del gruppo è smodata, ed è comprensibile che sia così: Joe Strummer (voce principale, chitarra), Mick Jones (chitarra), Paul Simonon (basso) e Topper Headon (batteria) sono al culmine della propria ispirazione e della propria energia, scrivono canzoni meravigliose e hanno di fatto trasceso la dimensione punk per abbracciare e innovare combat folk, rock'n'roll, reggae rock, ska revival, disco punk e dub.

Partiamo subito dai difetti del disco: il principale è chiaramente la sua abnorme lunghezza. Il disco è lungo quasi due ore e mezza, e francamente oltre mezz'ora è del tutto evitabile. Incidere un doppio LP sarebbe stato sufficiente, ma per Joe Strummer evidentemente si trattava di una sfida contro la propria casa discografica, che già aveva fatto storie per pubblicare il doppio "London Calling" e poi il doppio "The River" di Springsteen. Pur di ottenere ciò che volevano, i Clash rinunciano al pagamento dei diritti sulle prime 200'000 copie vendute, il che la dice lunga su quanto ci tenessero. Ma forse, lo ripetiamo, si sarebbero potuti tenere i diritti e avrebbero fatto meglio a incidere un doppio. Anche perché non solo ci sono troppe canzoni che sono palesemente riempitivi buoni per le tracce bonus di una eventuale versione del cinquantennale, ma altri pezzi che potrebbero funzionare nel contesto del disco sono trascinati all'infinito (i cinque minuti di "Junco Partner").

Detto questo, il disco è stracolmo di pezzi fenomenali, trabocca proprio di genialità e grandezza: il primo LP si apre con "The Magnificent Seven", una delle più incredibili cavalcate del gruppo (con ospiti al basso Norman Watt-Roy e alle tastiere Mickey Gallagher dei Blockheads di Ian Dury), i capolavori proseguono con il dolcissimo rock'n'roll romantico e nostalgico di "Hitsville UK" (alla voce Ellen Foley, partner artistica di Meat Loaf e partner sentimentale di Mick Jones) e con la new wave nevrotica di "Ivan meets GI Joe", critica tanto all'imperialismo americano quanto a quello sovietico (Afghanistan) e cinese (Tibet). "Something about England" è una struggente ballata folk rock che ragiona tanto sui mali dell'Inghilterra contemporanea quanto della storia del Regno Unito nel Novecento e uno dei momenti più intensi del triplo. L'introduzione malinconica e struggente di "Rebel Waltz" è da pelle d'oca e il resto della canzone non è da meno.

Il secondo e il terzo LP per i motivi già esposti non riescono a reggere il confronto con il primo, ma presentano comunque uno sbrozzo di classici immacolati: Mick Jones che canta "Police on my back", cover maestosa, disperata e frenetica del capolavoro di Eddy Grant, l'amico violinista Tymon Dogg che contribuisce con la sua isterica giga folk "Lose this skin", la sarcastica "Charlie don't surf". Tra gli altri ospiti notevoli segnaliamo il maestro del reggae Mikey Dread, che presta la voce soprattutto nei pezzi dub, Lew Lewis (armonica di Eddie and the Hot Rods), Gary Barnacle e suo padre Phil ai fiati, e Ivan Julian (chitarrista dei Voidoids).

"Sandinista!" si può anche considerare una sorta di risposta musicale a "The River" di Bruce Springsteen: Springsteen e Clash condividono infatti l'origine proletaria, il populismo di sinistra nel suo senso migliore, anche nei limiti, e un analogo amore viscerale per il rock'n'roll. Confrontare Springsteen e Clash in una sorta di dialogo musicale oltre l'Atlantico ricorda quello fra i gruppi americani come Beach Boys e Byrds nei confronti di Beatles e della prima British Invasion di quindici anni prima - "Darkness at the Edge of Town" vs "London Calling", "The River" vs "Sandinista".

Disco fondamentale per lo sviluppo del cosiddetto college rock negli Stati Uniti e per tanti artisti della scena indipendente inglese degli anni '80, a partire dai McCarthy e da Billy Bragg, "Sandinista!" è un disco pieno di pregi e difetti, ma i primi sovrastano ampiamente i secondi, e lo spirito e l'essenza del triplo LP sono talmente luminosi e abbacinanti da farne l'ultimo capolavoro del punk 77 e un ascolto indispensabile per comprendere fino in fondo i Clash..

- Prog Fox

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