lunedì 30 novembre 2020

Van der Graaf Generator: "He to He who am the only one" (1970)

Nel novembre di cinquant'anni fa venivano completate le registrazioni del terzo album dei Van der Graaf Generator, "H to He who am the only one", che sarebbe stato pubblicato il mese successivo. Rispetto al disco precedente, il suono del gruppo si fa più corposo e potente la scrittura privilegia composizioni più dinamiche, per quanto alcune di esse non siano del tutto all'altezza delle loro ambizioni. Il capolavoro, però, è ormai dietro l'angolo.




(il disco completo con due tracce bonus: https://tinyurl.com/yxe32j8a)

Tra giugno a novembre del 1970 , i Van der Graaf Generator incidono il loro terzo album in studio, "H to He who am the only one", insieme al produttore John Anthony, che aveva lavorato anche al loro precedente "The least we can do is wave to each other" e a "Trespass" dei Genesis.

Autore principale è come sempre il cantante e chitarrista Peter Hammill, che prosegue le sue verbose fantasie romantiche, gotiche e fantascientifiche, testi complessi che lo associano ad altre figure del movimento prog come Ian Anderson dei Jethro Tull e Peter Gabriel dei Genesis. Al sax e al flauto troviamo David Jackson e alla batteria Guy Evans. Ad agosto, dopo avere completato tre delle cinque tracce del disco, il bassista Nic Potter lascerà il gruppo e sarà da allora il tastierista Hugh Banton a suonare il basso in studio in sua vece. Nasce così la formazione storica a quattro elementi, protagonista di gran parte dell'attività del gruppo.

Rispetto al disco precedente, il suono del gruppo si fa più corposo e potente, e la scrittura privilegia composizioni più dinamiche, per quanto alcune di esse non siano del tutto all'altezza delle loro ambizioni. Se in "the least we can do is wave to each other" le canzoni, anche quando più lunghe, si dipanavano attorno a un tema principale o lo sviluppavano rimanendovi in qualche modo ancorate, qui è solo la magnifica, struggente ballata "House with no door" a seguire una struttura tradizionale.

È anche normale che gli altri pezzi siano più articolati, dato che, a eccezione di "Lost", una lunga canzone d'amore un po' didascalica e fredda nonostante le diverse sezioni in cui si sviluppa, le altre tre sono state costruite mettendo insieme due o più idee musicali inizialmente autonome.

"Killer", il pezzo che apre il disco, viene ottenuto accorpando e arrangiando tre brani, scritti in epoche diverse dall'ex-membro Chris Judge Smith, da Peter Hammill e da Hugh Banton. A fare da collante al tutto sta il sax paranoico di David Jackson, ispirato dal free jazz nel lungo solo centrale che enfatizza anche la capacità percussiva straordinaria di Guy Evans. È forse la canzone migliore del disco e un classico assoluto del loro repertorio.

"Killer" e "House with No Door" rappresentano non solo i primi due brani ma anche i migliori. Segue "The Emperor in His War Room", nella quale compare alla chitarra elettrica nientemeno che Robert Fripp dei King Crimson: è un discreto prog su tempi moderati, che permette al gruppo di esercitarsi in uno stile che saprà percorrere meglio nel prosieguo della sua carriera.

Il lato B è decisamente inferiore al primo: resta ben suonato e arrangiato anche in modo creativo, ma le melodie non sono altrettanto coinvolgenti. Di "Lost" si è già detto. "Pioneers over C", che conclude il disco, il pezzo costruito mettendo insieme più idee e arrangiamenti disparati, è solo a tratti interessante, con lunghe fasi free form che non sanno mantenere l'attenzione dell'ascoltatore fino in fondo. In questo senso finisce per rappresentare un po' una sintesi di tutto "H to He...", che inizia in modo spettacolare con "Killer" e "House with no door" ma non rispetta completamente la promessa fatta all'ascoltatore.

Il capolavoro, però, è ormai dietro l'angolo: si tratterà di "Pawn Hearts" (1971), quarto album della formazione inglese e culmine assoluto della loro carriera.

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