Cinquant'anni fa oggi veniva pubblicato il triplo LP "All things must pass", firmato dall'ex-Beatle George Harrison. Forse il disco solista migliore mai pubblicato da un ex-Beatle, "All things must pass" è una festa celebrativa del rock inglese di quegli anni, che ospita decine di strumentisti sensazionali e consente a Harrison di prendere il controllo delle operazioni senza l'ingombrante presenza di John (Lennon) e Paul (McCartney). Un capolavoro assoluto e senza tempo.
(il disco completo qui: https://tinyurl.com/y6bcq3ux)
Quando la storia dei Beatles giunge inevitabilmente al termine, George Harrison è non solo già rassegnato a questo epilogo, ma pronto a realizzare quello che sarà il suo capolavoro. Mentre il gruppo era dilaniato dalle tensioni interne, Harrison collaborava con i Cream, con Bob Dylan e con Leon Russell, perfezionando le sue capacità alla slide guitar grazie a Delaney Bramlett durante un tour con lui e la moglie Bonnie, incidendo due album di musica sperimentale ("Wonderwall Music" ed "Electronic Sound") e continuando a dedicarsi alla spiritualità, tanto occidentale quanto orientale, giungendo presto a un suo personale sincretismo universalista, rappresentato in musica dall'accoglimento di influenze indiane da un lato e gospel dall'altro.
È questa serenità, musicale e spirituale, che si riflette in "All things must pass", triplo album solista inciso da Harrison tra maggio e ottobre del 1970 con l'aiuto del mago della produzione Phil Spector, che imprime al disco il suo personale stile di wall of sound sovraincidendo all'infinito una messe di musicisti che comprende una spettacolare selezione di musicisti britannici (e non) degli anni sessanta - Eric Clapton con i suoi Dominoes, Ginger Baker, Ringo Starr, il bassista Klaus Voormann dei Manfred Mann, Dave Mason dei Traffic, i Badfinger al gran completo, il chitarrista country americano Pete Drake, Gary Wright degli Spooky Tooth all'organo, Billy Preston, Gary Brooker dei Procol Harum, Peter Frampton, il futuro batterista degli Yes Alan White e molti, molti altri.
Il disco vero e proprio si sviluppa nei primi due LP, che contengono sia materiale nuovo sia materiale composto da Harrison negli anni precedenti e, in certi casi clamorosi, scartato dai Beatles, con l'implicito suggerimento che Lennon e McCartney non volessero troppe canzoni di George sui dischi dei Beatles per non sfigurare al confronto. Quale che sia la verità, è chiarissimo che Harrison voglia fare i conti con i due Beatles più famosi, dalla copertina che vede George torreggiare su quattro nani da giardino al titolo più caustico che triste ('ogni cosa deve passare'), al fatto che chieda all'amabile e fidato amico Ringo di suonare in tutto il disco (Ringo in effetti non si fa pregare per suonare con entusiasmo per tutti e tre i suoi ex compagni nel corso della sua lunga carriera musicale). Il terzo disco, invece, chiamato "Apple Jam" per distinguerlo dagli altri due, è un LP fatto di jam realizzate in momenti diversi assieme agli amici e colleghi come divertimento, scarico della tensione o esperimento, incluso più come un regalo per i suoi ammiratori che come parte vera e propria dell'opera.
Quando i critici sentono l'album, rimangono tutti stupefatti: Richard Williams del 'Melody Maker' annuncia 'Garbo talks - Harrison is free', comparando lo shock nella riuscita transizione dell'attrice Greta Garbo dal film muto al film sonoro con la capacità di Harrison, che aveva avuto solo poche delle sue canzoni pubblicate sui dischi dei Beatles, a produrre addirittura un triplo album capolavoro.
In quello che è un bizzarro scherzo del destino, un triplo LP simile viene portato al successo anche grazie al singolo "My Sweet Lord", una discreta canzone, mutuata sul gospel "Oh Happy Day", il cui aspetto più interessante è la sperimentazione dell'arrangiamento che combina il canto hare krishna e quello gospel. Purtroppo per Harrison, l'ispirazione da "Oh Happy Day" è comune anche a "He's so fine" degli Chiffons, cosa che causa una controversia legale per plagio che dura anni e anni.
Trascurando però "My Sweet Lord", la quantità di pezzi clamorosi del disco è innumerabile: "I'd have you anytime" scritta con Dylan, le due versioni di "Isn't it a pity", "What is life", "Run of the Mill", "Apple Scruffs", la malinconica "All things must pass". Il successo del disco nel complesso può essere spiegato da tre fattori: in primis, il livello altissimo delle composizioni; secondariamente, nel singolo di lancio "My sweet lord"; infine, nel fatto che l'atmosfera spirituale e i temi personali toccati dall'album forniscono ai fan dei Beatles il migliore strumento possibile per l'elaborazione del lutto causato dalla scomparsa dei Beatles.
Capace di mescolare il pop beatlesiano e il roots rock di derivazione più americana, ri-arrangiati e ri-espressi secondo la propria filosofia personale - ancora una volta, lo ribadiamo, tanto musicale quanto spirituale, tra inni alla vita e momenti malinconici che si susseguono come un'onda, in perfetto equilibrio e armonia grazie anche ai crescendo e calando orchestrati con Spector, George Harrison realizza uno dei più bei dischi cantautorili del secondo Novecento, e quello che resta probabilmente il più bel disco di un ex-Beatle in assoluto.
- Prog Fox
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